Città a 30 all’ora: serve?

La velocità ridotta di auto, moto e scooter aumenta la sicurezza di pedoni e ciclistiMa sulle strade ad alto scorrimento si rischia di peggiorare traffico e inquinamento.

In città a 30 chilometri all’ora. Il limite di velocità, per ora giustamente imposto attorno alle scuole, esteso in ogni via. Se ne parla sempre più spesso. Fioriscono i comitati che vorrebbero imporlo, ma le amministrazioni non sono tutte d’accordo. Se da una parte c’è Bologna che lo ha annunciato per il prossimo anno, dall’altro c’è una Milano, città famosa per essere nemica degli automobilisti, che ancora sta valutando il da farsi. Ci sono strade in cui sarebbe utile, altre ad alto scorrimento dove probabilmente si creerebbero più ingorghi aumentando l’inquinamento. Lo scopo delle aree 30 è quello di proteggere gli utenti deboli, migliorando la sicurezza delle strade e riducendo l’inquinamento atmosferico, acustico e visivo. Ad oggi il Codice della Strada non cita espressamente le “zone 30” ma potrebbero rientrare nella definizione di “zona residenziale” prevista dall’articolo 3 comma 58 come “zona urbana in cui vigono particolari regole di circolazione a protezione dei pedoni e dell’ambiente, delimitata lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e di fine” . Insomma strade a velocità limitata che nascono vicino ad assi di viabilità principale. Ma servono? Secondo le associazioni che riuniscono gli utenti deboli della strada come la F.I.A.B. (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) di Modena servono eccome. Sostengono che la riduzione della velocità massima delle auto da 50 km/h a 30 km/h faccia calare la possibilità di morire per un pedone investito dal 80% al 15%. Fiab ritiene che portare la città a 30 kmh sia un percorso obbligato per far convivere pacificamente auto e persone in ambito urbano. “Sulla mobilità pulita di ciclisti e pedoni bisogna investire” sostiene il Presidente FIAB Eugenio Carretti. “Una città a 30 all’ora non è più prorogabile”. Le statistiche dicono che se un’auto colpisce un pedone a 24 km/h la maggior parte sopravviverà con danni lievi, a 40 orari gli scontri provocano ferite gravi e sono mortali al 50%. Percentuale che salirebbe al 90% se si superano anche di poco i 60 orari. La storia delle “zone 30” non è in realtà recente come la loro maggior diffusione. La prima zona 30 nacque in Germania nel 1983 nella piccola città di Buxtehude ma la prima città di dimensioni grandi a sperimentarla è stata Graz in Austria nel 1992. A Chambery, in Francia, la zona 30 è estesa a tutto il territorio urbano. Li tra il 1979 e il 2002 gli incidenti stradali con danni alle persone sono passati da 453 a 53 e il numero di feriti è passato da 590 a 65. A Monaco di Baviera, in Germania, l’80% dei 2300 chilometri di strade urbane sono in zona 30 e le rimanenti hanno un limite di 50 km/h. Questo si riflette persino sul mercato immobiliare dove sono preferiti gli immobili situati in “zone 30” o ZTL. Oggi poi grazie all’utilizzo dei cellulari come navigatori con app dedicate che forniscono itinerari alternativi valutando in tempo reale è esploso un altro fenomeno che le “zone 30” vogliono arginare. Si tratta del “rat running”. Ovvero la pratica di utilizzare le aree residenziali come scorciatoie da percorrere per aggirare ingorghi e rallentamenti sulle vie ad alto scorrimento. Tornando alle “zone 30” si rischia una deriva ancor diversa. Per comprenderla basta guardare alla vicina Svizzera dove ormai sono numerose le zone in cui è permesso solo il traffico locale dei residenti e di chi deve fare consegne a quest’ultimi. Chi va in Ticino lo sa bene. I controlli ci sono e muoversi è sempre più difficile se non sulle arterie ad alto scorrimento che alla fine sono perennemente bloccare dal traffico. Di tutto per dissuadere l’utilizzo dell’automobile e renderlo sempre più complesso da una parte e costoso dall’altra. Una lotta senza confini. Ma siamo proprio sicuri di voler girare tutti a piedi o in bicicletta continuando a sostenere costi di utilizzo che tra tasse, benzina, assicurazioni diventano sempre più insostenibili. A questo punto potremmo valutare anche di tornare ai cavalli. Ma in un mondo che va sempre più di fretta ci vuole anche il tempo per prendersela così comoda. Vivremmo meglio? Forse sì.

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