Così si riportano in vita auto con una storia

Un appassionato ha restaurato tre gioiellini trovati per caso a Milano. Da una Peugeot 309 GTI a una Honda Civic degli anni 80 e 90. L’ultimo recupero è una Volvo C70 cabrio con telaio ribassato da TWR.

Spesso non ci si sofferma abbastanza sul fatto che le auto hanno anch’esse una propria storia, una vita passata con i propri proprietari e le persone che con loro hanno vissuto, viaggiato nel corso degli anni. Storie di persone che si sono avvicendate a bordo, da proprietari o da semplici passeggeri, storie spesso uniche, significative di uno specifico momento storico, di una determinata zona geografica del paese. Ecco, quando osservo un’auto con qualche lustro sulle spalle mi chiedo spesso questo: chi avrà trasportato? Quali viaggi più o meno avventurosi avrà mai fatto nel corso degli anni? Mi piace conoscere anche questi aspetti, perché contribuiscono a dare valore all’esemplare. Mi è capitato spesso di salvare dal futuro incerto alcune auto che sembravano destinate all’oblio, rischiando magari di finire nel tritacarne di una rottamazione statale. Ricordo quando, sei anni fa, per motivi di lavoro mi trovavo in una via secondaria di Milano e, con la coda dell’occhio, ho notato e riconosciuto quei caratteristici 6 fari che distinguevano un modello non troppo apprezzato della Casa del Leone, quelli che caratterizzavano e distinguevano la 309 GTI, cugina meno fascinosa della ben più amata 205 GTI 1.9, ma molto più rara e per questo una vera e propria calamita per i miei occhi. Argento metallizzato, ancora con le sue targhe originali Milano, con i caratteristici profili rossi lungo tutti i paraurti ed i bellissimi cerchi da 15”, in vendita presso un commerciante d’auto forse non proprio consapevole del suo valore storico. Unico proprietario in oltre 30 anni di vita, anzi, due. Due fratelli che, raggiunta ormai una età avanzata, avevano deciso di separarsene dopo appena 70 mila km vissuti assieme. Un modello raro all’epoca, oggi una vera mosca bianca, ancor più considerando il fatto che era completa e tutta originale. Il cuore ha preso il sopravvento ed ho bussato in quell’autosalone decidendo così di tuffarmi nell’impresa non scontata di rimetterla in strada. Dopo mesi di amorevoli cure di un vecchio meccanico Peugeot ormai in pensione ed ore di ricerche notturne in rete in aggiunta a qualche visita dagli autodemolitori per cercare piccoli particolari ormai introvabili, riesco nell’impresa e la faccio tornare a ruggire sulle strade della provincia di Milano, come in quei gloriosi anni 80, ricordo felice di un’epoca in cui tutto era bello, dalla musica, alle auto, alla vita. Un ritorno alla vita di questa 309 GTI coronato poi con il ruolo di protagonista dello stand Peugeot al Salone di Auto e Moto d’epoca di Padova di quell’anno, dove un giovane avvocato di Milano la nota. Super appassionato di sportive francesi, ma che devono avere una caratteristica particolare: devono esser esclusivamente di colore argento! La vuole a tutti i costi e, vista la sua determinazione e la passione per il brutto anatroccolo (come l’ho definita io), dopo un aperitivo bevuto assieme decido di cedergliela, consapevole che sarebbe finita in ottime mani. Passano due anni e, durante una domenica mattina qualunque passata alla ricerca di un posto dove fare colazione in centro a Milano, mi trovo in zona Turati. Cercando parcheggio, una piccola giapponese di colore nero attira la mia attenzione: molto malconcia e parcheggiata tra due SUV ben più imponenti di lei, cerca di sopravvivere alla violenza dei parcheggi selvaggi di una città caotica come il capoluogo meneghino. Quella Honda Civic di fine anni 90 con così tanti segni del tempo pare una diffusissima versione 1.4, ma, pur ormai priva di decalcomanie, tradisce la presenza di un disegno di cerchi in lega specifico della versione più sportiva. “E’ una VTi da 160 CV!”, mi dico. Quella sigla stregava gli appassionati negli anni Novanta grazie all’urlo del suo motore V-Tec, in grado di frullare ad oltre 8 mila giri, dove le altre non potevano nemmeno avvicinarsi. Con una storia alle spalle di evidenti ricoveri all’aperto, si presenta molto ammaccata, opacizzata, sfregiata da tante auto che le hanno mancato di rispetto negli anni, ma ancora tutta originale, non pasticciata. Una veloce visura al Pra e scopro che anche lei ha avuto un unico proprietario, oggi ultraottantenne. Rintraccio un recapito e parlo col figlio che poi mi fissa un incontro col padre che scopro essere uno storico architetto con studio nella centrale Paolo Sarpi. La scusa della compravendita per il passaggio si trasforma in tre ore di chiacchiere su mille cose della sua vita, del suo lavoro e delle sue passioni, tra cui anche la storia di quell’anziana giapponese. Comprata quasi per caso come terza auto in famiglia, era stata usata prevalentemente per andare alla casa al lago, ma parcheggiata sempre all’aperto, in una Milano sempre più frenetica e poco rispettosa del paraurti altrui, sia pur sempre manutenuta accuratamente. Una storia troppo bella per non cedere alla tentazione di ascoltare il mio cuore che mi diceva di salvarla ed ignorare la ragione che suggeriva invece di “pensare alle cose più serie”. Un altro salto nel buio. Ci sono volute settimane per la ricerca dei ricambi specifici necessari e, soprattutto, della giusta officina che sapesse mettere le mani su quella raffinatissima meccanica asiatica per darle una seconda vita. Infine, l’artigianalità di un amico carrozziere ha completato il lavoro e la giapponesina è tornata a sorprendere chi la incontra per strada e la tratta con sufficienza, magari alla ripartenza da un semaforo. Arriviamo ai giorni nostri, alla soglia dello scorso inverno, quando mio cognato mi chiama per dirmi che era giunto il momento per andare a vedere “quella bella addormentata nel box”. Si trattava di un’Alfa Romeo Spider 2600 Touring di cui aveva avuto notizia da una paziente che aveva curato mesi prima. “Con lei pare ci sia anche una vecchia Volvo”, mi dice. Incuriosito, mi segno l’appuntamento in agenda e di lì a poco ci rechiamo in provincia di Bergamo, dove le auto erano state parcheggiate diversi anni prima. Ci accoglie la signora Stefania, la figlia del proprietario di entrambe le auto. Ci racconta che la svedese era stata la sua preferita, in famiglia soprannominata Fernanda, come la top model Lessa famosa in quel periodo. Se dell’Alfa sapevamo già molte cose prima di vederla, di quella ignota scandinava sapevamo ben poco fino ad allora. Come spesso accade, quando si pensa ad una Volvo si pensa ad una station wagon, al limite ad una berlina di rappresentanza. E io quello mi aspettavo, francamente… Non una cabriolet! Ed invece sì, proprio una C70 Cabrio prima serie, conservata al riparo di una tettoia e sotto dita e dita di polvere, ferma da diversi anni perché le esigenze di spostamento della famiglia erano cambiate. Con una leggerissima passata di panno umido sulla carrozzeria capisco che è in ottimo stato, protetta dalla polvere, di colore blu perlato e con abbinata una capote blu (opzionale per quel modello e conservata magnificamente): al suo interno, un magnifico interno in pelle beige, splendidamente conservato riscalda l’ambiente. Si trattava di una 2.0 turbo a 5 cilindri con un ricercato allestimento Sport, dotato di telaio leggermente ribassato e curato dalla storica TWR, Tom Walkinshaw Racing, una firma importante per quel progetto scandinavo. “Ma quanti km ha?”, mi chiedo. Batteria a terra, niente da fare. Una veloce letta ai documenti presenti a bordo e vedo che l’ultimo cambio della cinghia di distribuzione è stato fatto a 97 mila km, ma 10 anni prima. La curiosità è tanta e decido di tornare dopo qualche giorno con il necessario per tentare un avviamento dell’auto, incrociando le dita. E’ una Volvo, mi dico, non saranno certo alcuni anni di fermo a decretarne la fine! Collegata la batteria scopro che i chilometri sono meno di 105 mila, praticamente nuova! I pochi km dall’ultimo cambio della cinghia mi portano ancor più a voler tentare un avviamento. Polo negativo, polo positivo e un paio di giri di chiave. Partita! La signora Stefania mi racconta che è stata usata per lavoro dal secondo marito di sua madre per appena 3 anni, fino ad inizio 2006, quando è venuto a mancare. Da allora e fino al 2016 ha accompagnato lei e sua madre (con l’autista di famiglia al volante, perché entrambe sprovviste di patente) unicamente verso le proprietà liguri durante il periodo estivo, godendo appieno della comodità dei 4 posti rivestiti in soffice pelle. Dopo il passaggio di proprietà, una veloce e superficiale lavata (quel tanto che basta per vedere attraverso il vetro) e si va in officina a Crema, da un ex riparatore Volvo che sa dove mettere le mani. Qualche grattacapo da risolvere dovuto alla lunga permanenza sotto la tettoia e il cinque cilindri torna ad emettere quella melodia unica come solo questo frazionamento sa fare: musica per le orecchie. Una grande soddisfazione sentirla in moto così regolare, come vedere l’espressione della Signora Stefania quando sono tornato a farle rivedere la bella addormentata finalmente tornata al suo splendore, grazie anche alle cure di un bravo detailer che le ha tolto quasi tutte le rughe estetiche. Una doppia soddisfazione: aver salvato un’auto ormai diventata rara sulle nostre strade e aver reso felice la sua ex proprietaria, cui avevo fatto una solenne promessa. Nulla è morto finché non è sepolto!

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