La svolta vegana delle case auto. Ecco la verità

Èun problema di disinformazione volontaria e strumentale. Un’arma di distrazione di massa fomentata a tavolino per strategie di marketing. È la continua, fin troppo assordante, pulsione di molto case automobilistiche di annunciare repentine conversioni alla moda vegana e ai suoi diktat, ritenuti – senza particolari controprove – “più sostenibili”. Prima fra tutti: abbandonare la pelle per rivestire sedili, volanti e altre parti interne di un’auto. È una pulsione che ha colto l’occasione della transizione elettrica per salire di tono, finendo spesso per andare a sbattere contro un muro perché pone le sue basi su un assunto illogico: “Non usiamo le pelli, perché vogliamo salvare gli animali da cui derivano”. L’affermazione si nega da sé, perché, soltanto in Italia, oltre il 99% dei pellami che ogni anno passano attraverso i processi di trasformazione delle concerie sono scarti di un’altra industria, ivi compresi quelli utilizzati per industria degli interni: l’industria della macellazione, cioè quella alimentare della carne. Fatte salve e soddisfatte a monte tutte le istanze sostenibile relative al benessere animale, dunque, la conceria – e quella italiana ne rappresenta un caso d’eccellenza – raccoglie un rifiuto ed evita la conseguenza dell’oneroso e incalcolabile impatto ambientale legato alla sua dismissione. Per l’industria conciaria è un’ovvietà, per chi vuole propagandare le qualità alternative di altri materiali è un’occasione per creare ad arte un fraintendimento del quale poi finisce per pentirsi e per usare spesso e volentieri terminologie fuorvianti. Come nel caso del neologismo “ecopelle” applicato alla definizione di materiali di derivazione plastiche che non sono pelle, tanto meno eco e il cui utilizzo è categoricamente vietato dal Decreto Legislativo 68 del 2020. In questo senso, un cortocircuito da manuale è quello di Polestar, marchio elettrico di casa Volvo che vanta di avere un approccio “vegan first” e in passato promosse il suo Model 2 come un esempio di rispetto degli animali, visto che non ne utilizzava per scelta “etica” la pelle. Nel giro di pochissime stagioni in Svezia si sono resi conto che “affidarsi solo a materiali sintetici pone delle sfide in termini di sostenibilità” e che la pelle “è la soluzione per molte questioni legate alla qualità e all’ambiente”. Non solo: in un’intervista a Motor Trend Maria Uggla, senior design manager di Polestar, si è vista costretta ad ammettere che “trovare un sostituto di alto livello è complicato. (La pelle) è un sottoprodotto e continuerà ad essere un sottoprodotto (della zootecnia)”. Oggi, nel catalogo Polestar gli “interni in nappa dalle grandi credenziali di sostenibilità” sono tornati, celebrando un dietrofront molto significativo. Peccato che, in perfetto stile politically correct, di questa decisione non ha parlato (quasi) nessuno.

*Fulvia Bacchi è Direttore generale di Unic Concerie Italiane

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