Le auto sono davvero green?

Una sentenza del Tribunale di Gorizia mette in dubbio alcuni messaggi. Uno studio McKinsey: il 70 per cento dei consumatori preferisce prodotti eco-friendly

Ma le auto sono davvero green? Eco-sostenibile, eco-compatibile, riciclabile e riciclato. Bastano tre secondi per dirlo ma dietro ci sono investimenti di milioni di euro, anni di progetti, uomini e donne che fanno della coscienza ambientale una missione. Ecco perché allora da oggi in avanti bisognerà stare attenti prima di cucirsi addosso etichette non meritate e dimostrabili. A dirlo è una sentenza di un tribunale italiano, quello di Gorizia. “La sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto”, hanno rilevato i magistrati aggiungendo che le “dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”. 

Il ricorso era stato presentato dall’italiana Alcantara verso un concorrente che aveva ultimamente preso quote di mercato nel mondo automotive fregiandosi di qualità che secondo Alcantara erano dubbie. Con riferimento ai claim “microfibra ecologica”, “amica dell’ambiente” e “scelta naturale” il Tribunale di Gorizia ha affermato che “i messaggi pubblicitari denunciati sono molto generici e sicuramente creano nel consumatore un’immagine green dell’azienda senza peraltro dar conto effettivamente di quali siano le politiche aziendali che consentono un maggior rispetto dell’ambiente e riducano fattivamente l’impatto che la produzione e commercializzazione di un materiale di derivazione petrolifera possano determinare in senso positivo sull’ambiente e sul suo rispetto”, aggiungendo che “alcuni concetti riportati trovano smentita nella stessa composizione e derivazione del materiale”.

Una sentenza che farà giurisprudenza ma che soprattutto fa subito riflettere. Si tratta di “greenwashing” ovvero dare un’immagine “verde”, moderna e socialmente corretta avendo nella realtà fatto poco e nulla. “La transizione ecologica deve essere reale e non di facciata” afferma Elena Stoppioni, presidente dell’associazione no profit “Save the Planet” che promuove azioni e soluzioni concrete per aiutare il pianeta e tutelare l’ambiente. Insomma si tratterebbe di pubblicità ingannevole e la ricaduta economica è notevole. Infatti secondo un recente studio condotto da McKinsey, sono circa il 70 per cento i consumatori che nelle loro scelte di acquisto sono pronti a optare per prodotti eco-friendly rispetto a quelli tradizionali, anche pagando prezzi più elevati. È evidente quindi come eventuali dichiarazioni non veritiere sul fronte green non solo danneggiano la competitività delle aziende più rigorose, ma sono in grado di influenzare i comportamenti dei consumatori, ingannandoli. E il danno può essere anche di carattere strettamente finanziario poiché le obbligazioni “green” – nelle stime di S&P – a fine 2021 potrebbero superare i 1000 miliardi di dollari. È una massa enorme di risorse a cui le aziende possono attingere. È necessario, tuttavia, che il processo decisionale sia liberato da ogni ingannevole comunicazione di greenwashing. 

Secondo un sondaggio di Quilter, questa è la principale preoccupazione per quasi metà degli investitori (44 per cento). E allora la domanda sorge spontanea: ma davvero le auto hanno gli interni eco compatibili? Riciclabili e magari anche realizzati in materiale riciclato? Difficile rispondere. Ad oggi non c’è un ente superpartes certificatore. In pratica le aziende si certificano da sole. Insomma se la cantano e se la suonano. Un po’ troppo facile, no? Se una parte del prodotto è in materiale riciclabile, ma è solo una parte, significa che quella parte riduce l’inquinamento, ma il resto no. Pochi sanno che è impossibile capire se è stata usata plastica riciclata -PET- una volta che il prodotto è stato realizzato. Si può verificare solo durante la fabbricazione. E il costo del materiale riciclato è di gran lunga superiore rispetto a quello del materiale vergine. Un bel problema. Basti pensare che la produzione annua di PET supera 3.5 milioni di tonnellate con un indotto di circa 3.000 persone in 11 Paesi. Chi si prenderà l’onere del controllo? L’associazione “Save the planet” ci proverà, ma avanti c’è posto.

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