Basta con questi carro attrezzi troppo pericolosi

Quando si cambia pelle è sempre con dolore. Pur avendo un volto fanciullesco, Tommy Spychiger era un talentuoso pilota svizzero di trent’anni quando, il 25 aprile del 1965, durante la 1000 Chilometri di Monza andrò dritto alla frenata della curva Parabolica, la sua Ferrari 365 P di 4,4 litri colpì il terrapieno che separava la pista dal bosco finendo tra gli alberi; nell’impatto, il pilota fu decapitato dal parabrezza. I terrapieni ai lati dell’asfalto di Monza avevano già ucciso: nel 1961, sempre alla curva Parabolica, quando il volo della Ferrari 156 F1 di Taffy von Trips aveva causato la morte di 14 spettatori. Dopo quegli incidenti, i terrapieni vennero eliminati. La citazione del povero Spychiger è dovuta al fatto che sulle strade italiane del 2023 circolano dei veicoli che, per la loro conformazione, sarebbero in grado, in caso di incidente, di decapitare i malcapitati che vi finissero contro in velocità. Parliamo di quei carri attrezzi dotati di un pianale inclinabile e parzialmente scarrabile, fino a toccare il terreno per consentire il carico delle vetture in panne. Durante la marcia, il pianale è parallelo al terreno e termina con una vera e propria “lama”, necessaria a ridurre lo sbalzo con l’asfalto durante le operazioni di soccorso. Nel caso il carro attrezzi venisse tamponato, questa “lama” si troverebbe all’altezza dell’abitacolo dell’auto, per non parlare di quanto esposti sarebbero motociclisti e ciclisti durante un tale impatto. Negli ultimi quarant’anni abbiamo cambiato la forma delle automobili per renderle più sicure in caso di impatto tra loro o con i pedoni, modificando dimensioni e volumi dei paraurti, per esempio, inclinazione del cofano motore e del parabrezza, eliminando gli angoli e gli spigoli; abbiamo lavorato (non abbastanza, è vero) sui guardrail, perlomeno aspirando a renderli meno “assassini” nei confronti dei motociclisti; abbiamo reso obbligatorio il casco per chi guida una due ruote, e così via. Ciononostante, consentiamo a veicoli come questi carri attrezzi di circolare. Sono classificati “autoveicoli per uso speciale” dal Codice della Strada, regolarmente collaudati, e dunque possono circolare o sostare sulle pubbliche strade. Evidentemente rispondono a certe norme e regole, in tema di sbalzi posteriori, segnalazioni e dispositivi anti incastro, ma sul fatto che possano risultare estremamente pericolosi in caso di impatto, non ci piove. Si potrà ribattere che l’eventualità di tamponare un simile veicolo e ottenerne conseguenze letali è bassa, dal momento che il parco circolante non è pari a quello di altre categorie di veicoli, ma chi vorrebbe essere nei panni di quell’automobilista, motociclista o ciclista che tampona un carro attrezzi? E la possibilità non è così remota: immaginate di trovarvici dietro in caso di défaillance nei freni, in città ma anche in autostrada, o di un tamponamento a catena. Infatti, i carro attrezzi di questa foggia costruiti oggi, hanno una forma diversa, con il pianale inclinato verso il terreno nella parte terminale, per essere all’altezza del paraurti-blocco motore delle auto. Ma quanti ne circolano, di quelli alla “vecchia maniera”? Uno di questi mezzi, per dire, a Milano è perennemente parcheggiato lungo un marciapiede che, per lasciare spazio ai pedoni, si allarga e dunque sporge rispetto al tratto precedente: è dunque parcheggiato, regolarmente, come se fosse in seconda fila. Un automobilista che, sbagliando, si distraesse con il telefonino, se lo ritroverebbe in faccia all’improvviso. È mai possibile?

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