Bangle Ridisegna il Fine vita dell’auto

Il grande designer americano (Opel, Fiat, Bmw) ha qualche idea per il futuro “Pensando al suo riutilizzo il prodotto sarà diverso. Mi ha colpito la Citroën Ami”.

Sui gradini di una scala interna nello studio di Chris Bangle a Clavesana, nelle Langhe cuneesi, c’è una frase del fumettista americano Walt Kelly: “Va probabilmente bene essere qualsiasi cosa che non puoi essere quando scopri che non puoi essere tutto ciò che sei”. Ci vuole parecchia saggezza e piena consapevolezza di sé per comprenderne il significato e apprezzarla. La casa studio – ma anche atelier, academy, opera d’arte essa stessa – è la sede della Chris Bangle Associates, dove lavorano designer e ingegneri applicandosi al design, al management del design e alle relative strategie aziendali. E’ anche la base -sembra un’altra storia, però non lo è – della fondazione che si occupa delle panchine giganti (Big Bench). In precedenza Bangle, dopo gli studi in America (è nato in Ohio), aveva lavorato in Opel (quando era del gruppo GM), in Fiat, in Bmw. Dal 2009 l’attuale esperienza. La scelta di Clavesana è stata una scelta di famiglia, condivisa con la moglie. E certo non è l’approdo di chi si vota a un ritiro contemplativo (anche se il magnifico panorama invita eccome alla contemplazione): è piuttosto una fucina di idee che Bangle e i suoi collaboratori portano in giro per il mondo. All’interno disegni di auto, quadri, libri, anche quelli scritti da lui, il progetto dei fumetti, volumi di storia dell’arte. Un inno alla creatività. “Bisogna chiarire la differenza tra artista e designer – spiega però Bangle – L’artista è un creativo puro, il ruolo del designer è quello di offrire un servizio utile, per migliorare quanto il mondo offre e per capire il senso stesso degli oggetti che si progettano. Il design è collegato all’industria, l’industria è business e il business usa una logica che non sempre è la migliore per capire l’essenza di ciò che si disegna. Se i designer non lo capiscono finiscono con l’essere ripetitivi o subordinati alle esigenze imposte dalle aziende”. La mobilità sta cambiando rapidamente, che tipo di sfida propone? “Ho letto una frase degli alchimisti medievali: le cose non conosciute possono essere rivelate da cose non conosciute ancora più grandi. Un esempio? Cristoforo Colombo voleva scoprire le Indie Occidentali, ma la vera incognita più grande era che la terra era rotonda. Compreso questo, si risolse l’altra incognita. Pensiamo al telefono: un tempo era uno strumento di comunicazione, ci si fermava a questo; il non conosciuto più grande dietro la comunicazione era la connettività. La nuova mobilità è un problema immediato, che si può risolvere in tanti modi, abbattendo l’inquinamento o usando di più i mezzi pubblici. Ma la vera domanda, il non conosciuto più grande, è chiedersi che posto ciascuno di noi occupa nella società e quale sia la nostra consapevolezza di noi stessi. L’automobile ha offerto alcune risposte per quasi cent’anni. Ma oggi le persone si vedono in altro modo, dunque cambia anche il ruolo del designer” Verso quali obiettivi si sta dirigendo il design? “Troppi vedono solo l’immediato. Noi viviamo in una società lineare: prendiamo le materie prime, l’industria le trasforma, si arriva alla fine della vita di un oggetto e lo si distrugge. E in questo modo si distrugge anche tutta l’energia usata per creare. Sarebbe molto più efficace non buttare via, bensì riutilizzare. Ma oggi non c’è una vera cultura del riutilizzo. Questo è un tema sul quale il design deve concentrarsi, immaginando una seconda esistenza per ogni oggetto che produce”. Per tornare al tema dell’automobile: la transizione verso l’elettrico chiederà al designer un approccio molto diverso? “La differenza tra un’auto a benzina e un’auto diesel non è grande. Invece la differenza tra un’auto a motore termico e una elettrica può esserlo, ma solo se il significato dell’oggetto stesso cambia. Mi collego al famoso detto “la forma segue la funzione”: ebbene, nel mondo dell’auto, la forma segue spesso la supply chain, se i fornitori non ti supportano tu non puoi realizzare quelle che vorresti. Torno al discorso del riutilizzo: il fine vita di un’auto deve essere ripensato e quindi il prodotto stesso sarà diverso, bisogna che il design lo capisca”. Quali altri cambiamenti ci si possono attendere? “Bisogna cambiare il concetto di brand, oggi al designer viene chiesto soprattutto di rafforzarne l’identità. Secondo me è una strada sbagliata, così ci si fossilizza, è come se ci si stesse chiudendo all’interno di fortezze, il brand diventa esso stesso una fortezza. Ma il mondo gira, le fortezze no e il design non deve creare delle linee Maginot. Per me l’agilità conta più di tutto”. Serve un atto di coraggio, quindi? “Senza dubbio. Oggi vigono delle regole: una è quella del consenso tacito, si lavora gomito a gomito, tu capisci quello che capisco io e viceversa; poi c’è quella che prevede l’aspetto tattile del lavoro di designer; infine quella che prevede di effettuare tanti tentativi, anche a costo di sbagliare. Se l’industria, che insegue il risparmio di tempo e di denaro, toglie l’aspetto tattile perché tutto diventa virtuale, e diminuisce il numero dei modelli di studio, accade che per un designer si riducano molto le possibilità creative rispetto al passato. Io ricordo che negli anni in Fiat a volte era doloroso e difficile vedere che i progetti commissionati all’esterno vincevano sui nostri, ma si continuava a pensare e studiare modelli: era una grande opportunità di crescita. La costruzione dei modelli stessi diventava quasi un aspetto secondario, il design poteva concentrasi su concetti più sofisticati ed elevati. Oggi non è più così. In più mancano i saloni dell’auto, che permettevano ai designer di discutere, confrontarsi, scambiarsi idee. Si finisce per pensare ai designer come a una commodity”. A un giovane consiglia di intraprendere ugualmente questa professione? “Se ha passione, perché no? Ma un car designer non deve limitarsi a pensare che disegna un qualcosa con quattro ruote. Molti dispositivi sono automatici e mobili, anche un ascensore lo è. Car design deve essere altro e deve essere legato alla capacità di conferire carattere e personalità a un oggetto. Car design è il tutto attorno a noi. Noi, qui a Clavesana, abbiamo disegnato bottiglie, bicchieri, frigoriferi, oggetti vari. E’ l’essenza del car design che deve ispirarti. E’ una mia personale crociata”. Oggi il mercato chiede soprattutto Suv: interpretano lo spirito del design contemporaneo? “Perché la gente vuole i Suv? Probabilmente per la seduta alta, che permette di vedere la strada e poi perché hanno tanto spazio in dimensioni modeste. Ma pensare che l’unica combinazione di questi due elementi sia un suv mi pare un po’ poco. In passato si osava creare nuove categorie, pensiamo alla Volkswagen quando ha realizzato il Transporter basato sul Maggiolino. O alla Fiat Multipla, che avrebbe potuto introdurre una nuova categoria e che al contrario è stata definita semplicemente come strana. Invece era ottima per le famiglie, per il turismo, con tanto spazio a bordo. Altri avrebbero potuto seguirne l’esempio. Invece quel concetto è finito con la Multipla. E’ il momento di parlare di più di teoria del design, bisogna creare conoscenza attraverso un’approfondita analisi strutturale e semantica. Noi, qui alla Bangle Associates, facciamo molto questo lavoro” Oggi il mondo dell’auto guarda all’Oriente, la Cina influenzerà il design? “Sino al recente passato la Cina ha influenzato molto il design, perché le aziende cinesi erano clienti in grado di assorbire molte idee che poi sono state utilizzate anche da industrie non cinesi. Pensiamo ai segni di opulenza, ai frontali molto imponenti. Ora la geopolitica è cambiata, non è più tanto chiaro chi sia il cliente primario. I cinesi sono molto maturati dal punto di vista del design e della produzione, in Cina ci sono eccellenti team che fanno un ottimo lavoro. Voglio aggiungere, per trasparenza, che uno dei miei clienti è Xiaomi e il loro modo di fare design è davvero notevole”. C’è un auto che le piace oggi? “Mi piace l’Ami della Citroen. Ricordo che quando uscì la Nissan Juke rimasi stupito, oggi mi stupisce la Ami. Dal punto di vista della mentalità che si chiede ai designer del futuro è fantastica. Segue i canoni delle generazioni giovani” Parliamo delle panchine giganti? “E’ una grande responsabilità, ormai ce ne sono centinaia nel mondo. Per noi, che siamo totalmente no-profit, non è facile controllare tutto, ci servono sponsor. Siamo entrati nella seconda decade di attività. Il progetto funziona bene, si è capito che le panchine servono a valorizzare un territorio, aiutano il turismo e le comunità. Pensiamo a un piccolo paese isolato che grazie alla panchina, riapre un bar… Può sembrare una piccola cosa, ma un bar in certi paesi isolati è la vita stessa che rinasce. Le sfide davanti a noi sono grandi, ma la crescita è costante”. Il congedo è nel cortile, attraverso una porta (solo gli stipiti) senza alcun muro attorno. Perché in fondo attraversare è quel che conta davvero.

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