Il Codice De Silva tra disegni e ritratti (anche velenosi)

L’evoluzione del car design e qualche frecciatina ai suoi compagni di viaggio tra Fiat, Alfa e Volkswagen.

Walter De Silva non ha bisogno di presentazioni. È uno dei mostri sacri del Car Design mondiale. Un orgoglio italiano che ha messo la sua firma ad alcune delle auto più belle della storia recente. Ha fatto belle Fiat, Alfa Romeo, Seat, Audi, Volkswagen, Lamborghini, Bentley e Bugatti, Ducati e Porsche. E non ha ancora finito. Ha approfittato della pandemia per mettersi a scrivere un libro e raccontarsi senza peli sulla lingua. Ne ha approfittato per togliersi qualche sassolino, mandare qualche messaggio a chi non gli ha voluto bene. Il codice De Silva è un volume elegante pubblicato da Artioli in cui il maestro racconta la sua vita e i suoi progetti abbinando alle parole schizzi e disegni. Un’opera completa, impreziosita dalla prefazione di uno dei suoi discepoli preferiti, quel Flavio Manzoni che ha disegnato tutte le Ferrari dell’ultima era. E pensare che a Maranello avrebbe potuto arrivare anche De Silva qualche anno prima. Glielo propose Montezemolo. Ma poi a bloccare tutto intervenne la Fiat… “Il design è un modello culturale in costante evoluzione. È una attività progettuale multidisciplinare che consiste nel determinare le proprietà formali degli oggetti prodotti industrialmente. Sviluppa sistemi analogici e digitali, ecosostenibili, estetici e poetici. Definisce le strategie di impresa, è al centro delle decisioni. Rende meno ambigui i prodotti e dà un valore aggiunto e ripetuto nel tempo per un reciproco beneficio tra cittadino/utente/impresa/paese”, scrive all’inizio. Per lui “l’automobile è un organismo fatto di corpo e di anima” e racconta contento di “aver avuto per tutta la vita la meravigliosa sensazione di poter toccare i mie sogni, le mie forme in movimento”. Dall’Ufficio Stile Fiat dove era entrato come impiegato di terza categoria, allievo figurinista fino ai vertici del Gruppo Volkswagen dove lo aveva voluto personalmente un monarca geniale e assoluto come il professor Ferdinand Piëch, il nipote di Ferdinand Porsche, andatosene nel 2019 che quando lo strappò all’Italia gli disse: “Mi raccomando una sola cosa, si tenga stretta nel cuore l’Alfa Romeo”. Una casa alla quale ha regalato due auto dell’anno, la 156 e la 147. Un tecnigrafo, una scrivania, un rotolo di carta da lucido, carta riciclata da schizzi, alcune mine da disegno. Questa la sua dotazione con il consiglio di un collega “il resto, compassi e colori te li porti da casa e chiudilo bene nel cassetto”. Nelle 258 pagine del libro, De Silva racconta le auto e gli uomini che lo hanno accompagnato in questo viaggio infinito. Dal sempre elegantissimo Sergio Sartorelli, responsabile degli studi futuri del Centro Stile, il suo primo capo fino al professor Piëch passando con aneddoti gustosi per Ghidella e Cantarella, l’Avvocato Agnelli che riusciva a divertire sempre e suo fratello Umberto. Divertente il racconto di uno dei suoi turbolenti incontri con Cantarella. Un giorno al centro stile gli propone di inserire nuovamente la scritta Milano nel Marchio Alfa Romeo. “Cantarella mi risponde: di milanese conosco solo la cotoletta. Al che io controbatto: ma vorrei ricordare che… e Cantarella risponde: mi chiami ingegnere”. Così il suo atto d’amore per il Biscione andò a sbattere contro un angolo ottuso. “Di Cantarella detesto l’arroganza, il provincialismo, quel suo voler riaffermare sempre che la Fiat è il padrone, la Fiat comanda”. Per fortuna amava l’automobile e lo stile.

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