La Renaulution in Italia parte dall’ibrido

La visione di Fusilli, ad Renault: “Tra 10-15 anni in città vedo auto condivise.Il mio sogno è una mobilità con zero traffico, zero incidenti e zero inquinamento”

La Renaulution in Italia ha la faccia simpatica di Raffele Fusilli che dal primo luglio 2021 è il numero uno di Renault Italia dopo una vita passata nel mondo dell’automotive. È un uomo che ha il passato giusto per darci una visione non banale del futuro senza fermarsi solo al brand che rappresenta. Renault parla italiano anche grazie a Luca De Meo che da luglio 2020 è il ceo assoluto. È lui che si è inventato la Renaulution, la Rivoluzione secondo Renault, una casa che da più di 15 anni investe sull’elettrico e non ha certo cambiato idea oggi che il vento contrario comincia a soffiare un po’ più forte. “La Renaulution si basa su tre capi saldi – racconta Raffele Fusilli – rientrare nel segmento C in modo autorevole, tornare alla profittabilità focalizzando le vendite dove c’è valore e terzo punto essere leader del mercato green elettrico che per noi vuol dire ibrido più elettrico. In Italia soprattutto ibrido. Se io faccio un bilancio della Renaulution italiana noi sul canale privati, quello a più alta redditività (in Italia 8 vendite su 10 le facciamo così), siamo un benchmark mondiale, siamo il secondo paese dopo la Francia. Se guardo al green market con l’ibrido vero quello che ti fa marciare in elettrico, non quello finto, siamo regolarmente attorno al 20-22% e davanti per qualche punto abbiamo solo Toyota che l’ibrido lo ha inventato”. Risultati che si raggiungono grazie al prodotto. “Sul segmento C Arkana ha un successo superiore a ogni aspettativa. Megane e-tech elettrica che è partita in un momento sfavorevole per l’elettrico è la vettura di segmento C elettrica più venduta in Italia. E adesso arriva Austral un suv di segmento C alto di gamma con il miglior rapporto di efficienza, un ibrido che fa consumare 102 grammi di Co2 al chilometro e fa i 100 km con 4,6 litri. Il miglior ibrido in termini di efficienza sul mercato”. Non potendo puntare sui volumi perché le disponibilità di prodotto, come per tutti in questo momento di crisi da microchip, sono plafonate, Renault “deve puntare su valore e redditività per il gruppo, sulla percezione del brand per il cliente e sulla diffusione del nostro modello che è quello green ed elettrico”. 

Che cosa è oggi Renault per gli italiani? “Ci vuole molto tempo per cambiare la percezione dei clienti. Ma vedendo come vengono accolte anche sui social le nostre novità di prodotto e come nuove generazioni che prima non vedevamo, si avvicinano ai nostri concessionari e al brand ho la sensazione che si cominci a guardare Renault in modo diverso e la gente pensi: guarda Renault, sta facendo delle auto che forse è il caso di andare a vedere!”. Attirare il cliente e fargli trovare quello che cerca. La ricetta in fin dei conti è semplice: “Adesso dobbiamo provare a rifare delle macchine belle, la gamma che abbiano da qui al 2025 ci permetterà di dare identità, personalità e un’eleganza autorevole al brand. Sul fronte gamma prodotti stiamo svolgendo un lavoro pazzesco grazie anche al lavoro di Gilles Vidal che sta facendo un lavoro meraviglioso”. Prodotti belli, accattivanti, ma elettrici, termici o che altro? Una domanda banale provoca una risposta che banale non lo è affatto: “Il mercato dei motori termici non ha ancora raggiunto il suo picco, lo farà solo nel 2025 quindi la scelta che abbiamo fatto è di diventare progressivamente un brand elettrico con l’obbiettivo di diventarlo al 100% nel 2030 con cinque anni di anticipo su quanto per ora chiede l’Unione Europea, intanto lavoriamo sull’ibrido e grazie alla nuova business-unit creata con Geely riusciremo a produrre ibridi sempre più convenienti”.

Perché l’ibrido è presto detto: “In questo momento se si considera il ciclo completo tra produzione, estrazione di minerali necessari per fare le batterie, raffinazione, trasformazione, utilizzo della vettura elettrica e smaltimento a fine vita di una macchina elettrica e lo si confronta con quello che accade con una macchina ibrida si vedrà che l’ibrido è del 10% più efficiente di qualsiasi altra vettura elettrica. Quindi se non facciamo come la Comunità Europea che misura le emissioni solo dal serbatoio alle ruote e consideri il ciclo dalla culla alla tomba, l’ibrido continua a essere la soluzione ideale. Noi dichiariamo di fare l’80% degli spostamenti in città in elettrico, ma se anche fosse solo il 50% sarebbe un grande risultato. In questo momento è la soluzione intelligente, soprattutto in Italia dove siamo indietro come ricariche. Abbiamo solo 33 mila punti di ricarica contro le 75 mila della Francia, le 90 mila della Germania. Oltretutto le nostre stazioni di ricarica sono all’80% sotto i 22 Kw e in autostrada sono rarissime”. Per accelerare l’elettrificazione in Italia basterebbero quattro mosse: “Dovremmo fare quattro cose più una: un sostegno iniziale all’acquisto più robusto di quello che c’è, comprendendo anche le aziende; aumentare le infrastrutture, farle veloci, metterle sulle autostrade; il costo dell’energia che sta aumentando; produrre energia rinnovabile e poi sostenere la filiera, la componentistica italiana convertendo le aziende verso la produzione elettrica”.

E qui si passa alla visione del futuro. “Noi continuiamo a investire sull’elettrico perché è lì che andremo, ma contemporaneamente continuiamo a investire sull’ibrido e anche sui carburanti. In questo momento in Italia la soluzione è senza dubbio l’ibrido. Le auto elettriche sono perfette per un uso metropolitano non legato a grandi percorrenze, ma anche le più grandi con più autonomia, possono coprire al massimo l’85% del fabbisogno di mobilità”. Ma ecco che Fusilli ci proietta nel futuro: “Magari è un mio sogno, ma da qui a dieci, quindici anni io vedo le città metropolitane sempre più attraversate da veicoli in sharing, da una mobilità condivisa. Prendete Roma, una città nata più di 2.400 anni fa e poi evoluta secolo dopo secolo: semplicemente non c’è spazio per tutte le auto che la popolano. E così anche in altre grandi città. È come se ci ostinassimo a vedere la tv in streaming sul vecchio doppino telefonico in rame di 50 anni fa. Non possiamo abbattere le città, quindi andremo verso una mobilità sempre più condivisa, augurandomi che le amministrazioni implementino la mobilità pubblica perché non basta chiudere i centri città. Le auto costeranno sempre di più. Si abbasserà progressivamente quello dell’elettrico, ma crescerà quello del termico. Alla fine si allineeranno, ma a un livello più alto. E quindi anche l’utenza privata sarà spinta verso un utilizzo intelligente dell’auto. Penso al pagamento dell’auto per il tempo in cui tu la utilizzi veramente. Oggi le auto sono ferme nel 90% del tempo. Compriamo auto che utilizziamo per il 10% del tempo e dopo due anni il suo valore è già crollato del 50%. Non è razionale. Quindi andremo verso il car sharing o le subscription ovvero un utilizzo dell’auto stile Netflix, pay per use. Pensiamoci: non c’è nessuna cosa che noi possediamo che viene utilizzata solo per il 10% del tempo”. Renault ha creato un brand, Mobilize che si occupa di mobilità, ma anche di raccolta e vendita dati, di energia. Sta già lavorando in quella direzione. Ma Fusilli ha un altro sogno: “Il mio sogno è la mobilità a tre zero: zero traffico, zero incidenti e zero inquinamento. Un futuro in cui andando in auto non si rischino più incidenti anche grazie allo sviluppo della guida assistita. Non dico autonoma, ma assistita. Il 90% degli incidenti è dovuto alla distrazione, non a un’auto che non funziona. Dipende da chi guida, non dall’auto che stai guidando. Ma l’auto ti può aiutare. Pensiamo auto che dialogano tra di loro e all’incrocio sanno come comportarsi e sanno reagire se qualcuno non rispetta un semaforo rosso. Questa è una cosa che vedremo. Tu guidi, ma l’auto sa che ti sta arrivando addosso un’auto che non ha rispettato il rosso e ti ferma. L’industria dell’auto procura 1,6 milioni di morti all’anno. Cifre da guerra. L’industria automobilistica ti garantisce mobilità, l’occupazione, la libertà, ma dall’altra parte provoca 1.6 milioni di morti. La tecnologia dovrebbe accelerare anche per questo”. Un bel sogno che assomiglia a un’utopia. Ma provare a realizzarlo è un dovere.

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