Caccia ai microchip che bloccano le auto

In media i componenti elettronici costituiscono ormai il 40 per cento del valore di un’automobile: la mancanza di microchip sta mettendo sempre più in crisi la produzione in tutto il mondo

Produzione di automobili rallentata a causa della mancanza di microchip

Produzione di automobili rallentata a causa della mancanza di microchip

Se chiedete all’amministratore delegato di una grande casa automobilistica quali sono le sue principali preoccupazioni per il 2021, e forse anche per un bel pezzo di 2022, è certo che parte della risposta conterrà la parola “microchip”. Siamo abituati ad associare questi piccoli componenti elettronici ai computer, agli smartphone e agli altri aggeggi digitali, ma ci si dimentica spesso che ormai le automobili sono eleganti computer su quattro ruote: i microchip sono fondamentali, e lo stanno diventando sempre di più. Servono a fare praticamente di tutto, da operazioni semplici come i comandi per alzare e abbassare i finestrini elettrici a quelle più complesse come la gestione dei computer di bordo, dei sistemi di guida assistita, dei vari dispositivi di sicurezza. È stato calcolato che in media i componenti elettronici costituiscono ormai il 40 per cento circa del valore di un’automobile – e i microchip ne sono la parte più importante: senza di loro, l’elettronica non funziona, e più le automobili diventano sofisticate, più la centralità dei chip aumenta. Ecco, il problema che probabilmente inquieta gli amministratori delegati del settore è che di microchip non ce n’è abbastanza.

Dall’inizio dell’anno si è verificata in tutto il mondo una grave crisi produttiva nell’industria dei microchip, che ha colpito tutti i settori, ma ha riguardato in particolar modo l’industria dell’auto, provocando tagli alle stime di produzione, perdite in borsa, aggiustamenti dei bilanci e perfino qualche problema per i consumatori. Cominciamo cercando di capire perché i microchip mancano, e poi arriviamo all’industria dell’auto, e a perché è stata più penalizzata di altre.

Possiamo elencare tre ragioni principali per cui dall’inizio dell’anno i microchip scarseggiano in tutto il mondo: la pandemia da coronavirus, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e la sfortuna.

Il fatto che dalla primavera dell’anno scorso buona parte della popolazione mondiale sia stata costretta a causa della pandemia a vivere e lavorare dentro casa ha portato a un enorme aumento delle vendite di apparecchi elettronici. Computer, tablet, smartphone, televisori, console: il mondo aveva bisogno di apparecchi elettronici pieni di microchip per lavorare e svagarsi a casa, e la domanda è aumentata sensibilmente. Quando poi, grazie alla buona riuscita della campagna vaccinale, le economie mondiali hanno cominciato a riaprire e riavviato la produzione, la domanda di microchip ha praticamente subìto un’impennata.

Anche la guerra commerciale con la Cina cominciata dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha avuto effetti negativi, perché ha tagliato fuori dalle catene di approvvigionamento diverse aziende cinesi produttrici di microchip e ha reso più complicato il commercio e lo scambio di materie prime e tecnologie. Questi fattori eccezionali (enorme aumento della domanda in un contesto di pandemia globale e di guerra commerciale) hanno messo una grandissima pressione sull’industria che produce i microchip, e questo ha creato un grosso problema, perché si tratta di un’industria per niente flessibile, che ha poche risorse di rispondere in maniera rapida alle sollecitazioni del mercato. Per produrre microchip, infatti, sono necessari investimenti giganteschi, infrastrutture di alto livello e know-how, tutte cose che richiedono anni per essere messe in pratica. E benché esistano numerose aziende in tutto il mondo che producono microchip, la stragrande maggioranza della fabbricazione globale è in mano soltanto a tre società: l’americana Intel, la sudcoreana Samsung e il leader incontrastato del mercato, la taiwanese TSMC. Si tratta di enormi multinazionali che investono ogni anno miliardi in infrastrutture e ricerca, ma appunto: la produzione di microchip si muove lentamente, e davanti all’esplosione della domanda le aziende non sono riuscite a tenere il passo.

Ci si è messa anche la sfortuna, dicevamo. In particolare TSMC ne ha avuta parecchia, perché soltanto dall’inizio dell’anno i suoi stabilimenti sono stati colpiti da: due focolai di coronavirus, un’inondazione e poi un periodo di siccità così grave da mettere a rischio le riserve d’acqua, fondamentali per la produzione. Tutti questi eventi hanno bloccato o in alcuni casi perfino rallentato la produzione di microchip.

Ora, in questa situazione poco piacevole, le case automobilistiche sono state quelle che ne hanno risentito di più. Non sono state certamente le uniche – avete provato negli scorsi mesi a comprare una PlayStation 5? – ma la produzione dell’auto ha alcune caratteristiche che la rendono più vulnerabile. Anzitutto, ha poco potere contrattuale sul mercato dei chip, perché gran parte dei suoi ordini riguardano quelli meno potenti e costosi: si stima che il settore dell’auto utilizzi soltanto il 10 per cento della produzione globale di microchip, e per questo i produttori tendono a dare la precedenza a ordini più grossi e ricchi. Infine, è stato fortemente penalizzante anche il fatto che la gran parte delle case automobilistiche abbia scarsissimo inventario perché utilizza una catena dell’approvvigionamento “just in time”: durante il lockdown, le industrie attive in altri settori hanno fatto scorta di microchip, e quando le fabbriche automobilistiche hanno finalmente riaperto si sono accorte troppo tardi che chip erano in gran parte finiti, o scarseggiavano. La scarsità di microchip ha provocato a partire dall’inizio dell’anno diversi problemi nel settore, anzitutto negli Stati Uniti, dove Ford, GM e altre grandi case hanno annunciato la chiusura temporanea o la riduzione degli orari in diverse fabbriche, ma anche in Europa. Per fare due esempi molto noti: Volkswagen a marzo aveva prodotto 100 mila automobili in meno rispetto a quanto previsto, mentre Stellantis nel primo trimestre dell’anno ha avuto una perdita produttiva di 190 mila unità, tutto a causa della carenza di microchip.

A rendere particolarmente odiosa la situazione c’è il fatto che la domanda non mancherebbe: i consumatori sono ansiosi di comprare auto nuove, ma le case automobilistiche faticano a trovare i componenti per costruirle. Questo ha portato a un allungamento dei tempi di consegna, e in alcuni casi anche a un ritocco al rialzo dei prezzi delle auto. Ci sono stati anche diversi effetti collaterali: per esempio, poiché scarseggiano le auto nuove, i consumatori hanno cercato altrove, e il mercato delle auto usate ha subìto un’impennata mai vista.

La buona notizia è che, secondo molti esperti, benché il fenomeno della carenza di microchip probabilmente durerà ancora un paio d’anni, a causa del tempo necessario per adeguare la capacità produttiva, le sue conseguenze peggiori si potrebbero attenuare già nella seconda metà del 2021, e il mercato potrebbe infine tornare stabile – dopo pandemie, alluvioni, guerre commerciali e siccità.

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