Quanto inquinano le consegne: i problemi dell’ultimo miglio

La ricerca dell’Università di Washington: i furgoni sono il 7 % dei veicoli in strada ma creano il 28 % del traffico

FedEx

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Girala come vuoi, alla fine l’unica notizia certa è che puoi parlare di impatto zero soltanto se a consegnarti la pizza è un fattorino ciclista. In tutti gli altri casi che riguardano quello che chiamiamo “ultimo miglio”, e cioè l’ultimo tratto della consegna a domicilio delle merci, dal punto di vista ambientale è una tragedia, o quasi. 

Gli americani, che hanno la passione di applicarsi seriamente a qualsiasi cosa, hanno ridotto il campo e identificato il problema nei “Final 50 Feet”, o Final 50’, l’ultima quindicina di metri che il prodotto compie prima che qualcuno bussi alla nostra porta per consegnarcelo. Secondo gli studi dell’Università di Washington, nelle città americane i furgoni rappresentano il 7 per cento dei veicoli sulla strada, ma creano il 28 per cento del traffico. Con un aumento dell’e-commerce stimato nel 20 per cento annuo, il numero delle merci consegnate a domicilio raddoppierà da qui al 2023. E non è un viaggio indolore.

Una ricerca della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, definisce l’e-commerce conveniente solo se l’acquirente deve percorrere una distanza superiore ai 15 chilometri per raggiungere il negozio fisico, perché genera un packaging dal peso tre volte superiore rispetto a quello del negozio, il cui impatto ambientale è 10 volte superiore a quello del classico sacchetto di plastica; un packaging, tra l’altro, difficile da smaltire, perché multi-materiale.

Senza parlare dei resi: secondi i dati della National Retail Federation, tra il 2010 e il 2015 i resi sono aumentati del 66 per cento, in particolare nel campo dell’abbigliamento. In Italia circolano sulle strade circa 20 mila furgoni per smistare le merci nell’ultimo miglio: nel 2019 hanno consegnato 318 milioni di pacchi.

Secondo lo studio inglese Dirty delivery report, in Gran Bretagna il Black Friday ha generato 429 mila tonnellate di emissioni di CO2; ma i clienti, stando allo studio, non se ne preoccupano: solo un acquirente su 10 sceglie la consegna “eco” e uno su cinque non è disposto a pagare un extra (massimo 2 euro) per compensare la CO2 generata dall’acquisto on-line. 

L’inquinamento non è però l’unico problema. Come mette in luce lo studio Final 50’ dell’Università di Washington, un altro tema caldo, oltre al traffico, è la sosta dei furgoni in consegna. Lo sanno bene anche gli italiani: i furgoni in doppia fila fanno ormai parte dell’arredamento urbano. A Seattle, ogni nuovo condominio deve avere per esempio una propria zona carico e scarico, anche se oggi ce l’ha solo il 13 per cento. La rapidità della consegna è un parte fondamentale del processo: più tempo occorre, più si impatta sull’ambiente e sul traffico. Se tutti gli edifici avessero il portiere, o un luogo dedicato a ricevere le merci, il tempo di permanenza dei fattorini nell’edificio diminuirebbe del 73 per cento (il 61 per cento del tempo è impiegato solo per consegnare la merce al piano ), oltre a ridurre drasticamente il numero delle mancate consegne, che oggi, in America, è pari al 15 per cento del totale, un numero enorme. Da Washington raccomandano quindi di farsi trovare a casa quando arrivano i pacchi, assumere, ove possibile un portiere e creare una zona di carico/scarico davanti al condominio. Niente di più semplice.

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