“In bici mettete il casco e rispettate le regole”

I consigli di un campione come Sonny Colbrelli per pedalare in sicurezza“ Bisogna avere quattro occhi, ma dobbiamo essere i primi a seguire il codice”.

In bici bisogna avere la testa. Funzionante e protetta. Sono le due condizioni per non trasformare una passeggiata o un trasferimento casa-lavoro in sella in un brutto ricordo o peggio. Dall’inizio dell’anno, secondo l’Osservatorio Asaps-Sapidata, sono 175 i ciclisti morti in Italia in incidenti stradali. Uno ogni 43 ore. E nel totale non sono conteggiati coloro che arrivano in ospedale e poi non ce la fanno. La regione con il più alto numero di eventi è la Lombardia: 34 decessi da gennaio. Per un mondo che, negli ultimi cinque anni, non ha fatto che spingere sulla mobilità dolce, sull’acquisto di biciclette, sono cifre che gridano allo scandalo. Se tante sono le cose che si dovranno fare per rendere l’utilizzo della bici sicuro, soprattutto in ambito urbano e non solo metropolitano, una va fatta subito: indossare il casco. È un gesto semplicissimo, che ti può salvare la vita. Eppure, così pochi ancora lo fanno. “Oggi sono venuto a Milano per lavoro e ho visto persone che, da come pedalavano, non mi sembravano tanto pratiche di bici, oppure avevano una bici non perfettamente a punto, con le gomme sgonfie, eppure erano tutti senza casco. Ma non lo capiscono che in bici è un attimo cadere e picchiare la testa?”. Quasi si indigna, il campione Sonny Colbrelli, conquistatore di un titolo europeo su strada (davanti a Evenepoel) e della Parigi-Roubaix 2021, 22 anni dopo l’ultimo successo italiano, firmato Tafi. “Io non esco più in bici senza casco, neanche per fare 500 metri a prendere il pane. Per me bici e casco vanno assieme, non esiste l’una senza l’altro. Ma ancora oggi vedo tanti amatori che non lo usano. Noi ciclisti, non solo i professionisti, dobbiamo essere consapevoli che quando siamo sulla strada, siamo protetti solo da un guscio di polistirolo e plastica. Invece gli altri sono su una macchina, hanno intorno il metallo. Io sono il primo che tante volte non ha rispettato le rotonde o è passato col rosso, però oggi dico che i ciclisti devono essere i primi ad avere rispetto delle regole e del Codice della strada. Quando alla domenica vedo gruppi di amatori che non rispettano niente, mi dico: di cosa parliamo? La strada è di tutti. Se vuoi rispetto, devi rispettare le regole. Poi è chiaro, puoi avere quattro occhi, due davanti e due dietro, ma quando chi guida un’auto o un camion si distrae, è un attimo finire a terra”. In bici, in caso di incidente, la bravura non conta. Le storie di Davide Rebellin e Michele Scarponi insegnano. “Puoi essere bravo quanto vuoi”, continua Il Cobra, “ma quando una macchina ti stringe o ti prende sotto, non ci puoi fare nulla. Tante volte io sono stato salvato proprio dal casco. In allenamento ci sono stati casi in cui sono caduto, ho picchiato la testa e il casco mi ha salvato la vita. Il casco si è rotto a metà, ma la mia testa no. E in città è molto più pericoloso che fuori. Trovi quello con il monopattino, chi attraversa le strisce pedonali all’ultimo, chi ti taglia la strada con l’auto, il pullman che ti stringe contro il marciapiede… In città il casco è la cosa principale. Sarà anche antiestetico, d’estate scalderà, ma ti salva la vita. È meglio spettinarsi i capelli che finire su di un letto d’ospedale. Ascolta Sonny: metti il casco che ti salva la vita”. “Il casco è fondamentale in caso di incidente”, gli fa eco l’avvocato Federico Balconi, fondatore di Zerosbatti, associazione senza scopo di lucro con 6mila associati, soprattutto ciclisti amatoriali, cui fornisce assistenza gratuita legale. “Noi rileviamo pochissimi traumi cranici, perché il ciclista sportivo al 90 per cento usa il casco, anche se non è obbligatorio. Mentre in città, nei tanti incidenti anche lievi che avvengono, si riscontrano molti traumi cranici, perché pochissimi lo usano. È la prova di quanto importante sia usarlo: tra un incidente con conseguenze di poco conto e un incidente grave, ci passa proprio l’utilizzo del casco”. “L’uso del casco da bicicletta è fondamentale per chiunque pedali”, commenta Simone Barbazza, direttore marketing di Rudy Project, brand che i caschi da bici li produce. “Le statistiche degli incidenti in Italia negli ultimi anni evidenziano una realtà preoccupante: secondo l’Istat, c’è stato un aumento significativo degli incidenti che coinvolgono ciclisti nelle aree urbane. Questo sottolinea l’importanza di indossare sempre un casco, anche per spostamenti brevi. Rudy Project si impegna nella creazione di caschi che offrono la massima sicurezza e comfort. La nostra collaborazione con il team professionistico Bahrain Victorious è stata cruciale nello sviluppo di tecnologie avanzate. Queste innovazioni, testate in condizioni estreme, sono poi rese disponibili per tutti, compresi coloro che usano il casco per recarsi al lavoro. Il nostro obiettivo è assicurare che ogni ciclista abbia accesso alla migliore protezione possibile”. Ma la strada è ancora lunga. Nel tempo di scrivere questo articolo, seduto ai tavolini di un caffè, Milano centro, mi sono transitati davanti 18 ciclisti. Solo due portavano il casco, ed erano donne. I tanti con le bici in bike sharing, come pure i rider, neanche a parlarne.

Exit mobile version