MANZONI IN CATTEDRA COSÌ NASCE UNA FERRARI

La Lectio Magistralis del designer di Maranello all’Università di Firenze Alla base del suo successo c’è la contaminazione tra le arti “La bellezza di questo lavoro è creare qualcosa che ancora non esiste”

Che cosa ci fanno la Guernica di Picasso, il Cloud Gate di Anish Kapoor, il concerto di Colonia di Keith Jarret, i fumetti di Alex Raymond, le visioni futuristiche di Syd Mead, le figure in movimento di Umberto Boccioni o l’arco di Vico Magistretti sotto il vestito elegante di una Ferrari? Sembra impossibile che dentro una vettura del Cavallino ci stia tanta arte. E invece, con Flavio Manzoni che dal gennaio 2010 è il responsabile del Centro Stile della Ferrati tutto questo è possibile, anzi è necessario. Perché Manzoni prima di essere un designer di auto è un architetto, un musicista, un uomo dalla curiosità sterminata. Ha fatto della contaminazione tra le arti la sua forza e lo ha spiegato benissimo nella lectio magistralis tenuta all’Università di Firenze in occasione della laurea honoris causa che gli è stata conferita in Design. Nello stesso ateneo dove era diventato architetto con una tesi su un prototipo Lancia che poi gli aprì le porte del Centro Stile torinese, Flavio Manzoni si è esibito in una lezione intitolata “Il design è un pipistrello”, con un chiaro riferimento al libro di uno dei suoi maestri, Giovanni Klaus Koenig di cui ha sempre apprezzato l’ironia e l’arguzia. Per Manzoni, partito da Nuoro con un mondo di idee in testa, Firenze è stata la seconda terra, il luogo dove oggi ha trovato anche un nuovo amore. Il primo messaggio che manda agli studenti di oggi è “sull’importanza della curiosità, la voglia di imparare, la voglia di mettersi in gioco, la tenacia che porta a fare degli incontri fondamentali”. Gli incontri sono stati il sale della sua vita. Da quello con il padre Giacomo che gli ha fatto trovare in casa i libri fondamentali per la sua educazione artistica, a quelli con i suoi professori. Il giovane Manzoni passava ore a guardare i fumetti di Raymond, apprezzando l’eleganza dei suoi tratti, poi si metteva a disegnare cavalli in libertà, forse un segno che un giorno sarebbe arrivato a dirigere il design del Cavallino e ancora al liceo ha cominciato a disegnare supercar e a vedersele pubblicate sulle riviste di settore. “Il disegno era un modo per comprendere la realtà e soprattutto per far mia la bellezza del mondo… Il design è arte applicata da una parte c’è l’aspetto dell’immaginazione, dall’altra quello un po’ più terreno dell’applicazione, della concretezza – racconta – per me un progetto parte sempre da una visione, da un’astrazione, non necessariamente da un oggetto compiuto. Poi prende a poco a poco un’identità più precisa quando si crea il matrimonio tra la forma, la bellezza formale e la funzione o nel caso di una Ferrari le prestazioni”. Manzoni non ha mai smesso di sognare. Lo si vede nelle sue Ferrari che ogni volta ti portano in un mondo diverso. “La bellezza di questo lavoro – aggiunge – è creare qualcosa che ancora non esiste, senza però ignorare l’aspetto pragmatico e capire come il progetto debba essere concepito in tutte le sue parti”. Perché se disegni una Ferrari, sai che devi fare i conti con i motoristi, con gli aerodinamici e poi magari anche con i piloti. Le Ferrari saranno anche opere d’arte, sculture in movimento, ma devono offrire delle prestazioni uniche. Sono progettate per essere ammirate, ma anche per essere guidate e spesso al limite delle possibilità. La formazione estremamente eclettica che ha avuto gli ha aperto la mente e l’orizzonte. “Mio padre Giacomo ha insegnato a me e ai miei fratelli tantissime cose, semplicemente con l’esempio. Noi abbiamo seguito il suo modo di amare le arti e concepire le forme. Poi c’è stata la passione per l’arte che mi ha portato a studiare, a curiosare, a cercare di comprendere da cosa nasce l’arte, a conoscere anche le vite dei grandi artisti per capire che cosa c’è dietro e riprodurre attraverso il disegno tante opere che ho amato… e piano piano ho cercato di creare un mio segno distintivo, il mio modo di rappresentare le cose”.

Il futuro ha sempre avuto un’attrazione fatale. Le astronavi di Alex Raymond, il visual futurism di Sud Mead e le dream car, quasi delle astronavi dei carrozzieri italiani negli anni Sessanta e Settanta sono state la sua ispirazione: “Il futuro per me è stato il faro, il sogno”. E intanto studiava sui libri di Carbonara i segreti della progettazione e nello stesso tempo ammirava il Concorde, capendo: “Come si può dare forma simbolica ad un oggetto, ma nello stesso tempo essere consapevoli delle difficoltà tecniche e ingegneristiche che una determinata forma comporta”. Le Ferrari di oggi nascono anche dall’osservazione dei jet supersonici. “Il Concorde ha una forma iconica, la forma segue la funzione, ma c’è un ‘intervento del progettista. C’è sempre spazio anche in un oggetto complesso per attribuire una forma più evocativa e iconica”. Un concetto che porta rapidamente alla Ferrari Monza, la prima Ferrari della serie Icona, uno dei quattro Compassi d’oro vinti da Manzoni (l’ultimo con la Purosangue).

“Tutte le arti hanno un collegamento, io sfrutto tantissimo la bellezza del pensiero laterale creando delle intersezioni tra le arti… L’automobile è un prodotto molto particolare perché combina due aspetti quello del design, ma anche quello della scultura. Non tutti lo sanno gestire. Serve la creatività ma anche la ragione, la conoscenza tecnica dell’oggetto”, per spiegare il concetto sfrutta una frase di Bruno Munari: “L’artista opera con la fantasia mentre il designer usa la creatività”. Ma come si trasforma tutto questo sapere in una Ferrari? “Parto da tre linee, le linee maestre che governano la forma e danno struttura all’insieme. Ci vogliono centinaia e centinaia di schizzi per arrivare a materializzare l’essenza del progetto…”. A quel punto Manzoni nella sua applauditissima lectio magistralis gioca l’ennesima carta a sorpresa. Entra in gioco il concetto di Serendipity e l’architetto delle Ferrari lo spiega sfruttando una frase di Laszlo Moholy-Nagy uno dei fondatori della Bauhaus: “L’eccezionale abilità del genio può essere accostata da ognuno di noi se viene colta una delle sue caratteristiche essenziali: l’atto rapidissimo di connettere elementi che non si appartengono in modo evidente. Se la medesima metodologia venisse usata in generale in tutti i campi, potremmo avere la chiave della nostra epoca: vedere cioè ogni cosa in relazione”. Le ispirazioni arrivano da mondi diversi. Dalle creazioni di Kapoor, nasce la “Forma di un’auto intesa come un oggetto integrato dove superfici esterne e superfici interne dialogano in perfetta continuità”. Ma l’automobile ha una caratteristica particolare, deve “creare empatia con il cliente”. Come è successo con la Fxx K, una vera Ferrari da pista. “Ci è stato assegnato il compito di dare una veste più bella e accattivante al progetto partendo dalla miglior configurazione aerodinamica che però non è detto sia bella. La forma non ha coerenza è disgregata… dopo diversi mesi di lavoro è arrivata la nostra proposta e alla fine ci hanno assegnato un Compasso d’oro”.

“L’architettura è sempre alla base di un nuovo progetto – spiega – la prima fase è quella di definire gli aspetti legati all’equilibrio, alla composizione dei volumi e che anche in un’automobile sono fondamentali e variano a seconda della posizione del motore. Vediamo in trasparenza quelle linee invisibili e magiche che danno struttura e bellezza a una composizione come Guernica di Picasso”. Ma architettura e pittura non bastano a creare una Ferrari. Interviene anche la linguistica, la forma che diventa linguaggio come nella F12 Tour de France: “Una delle più amate che è stata concepita immaginando una combinazione molto particolare di elementi plastici e elementi grafici legati ai device aerodinamici. Gli assi del linguaggio collegano gli elementi di una frase, ma ogni singolo elemento può avere un valore evocativo”. Nei suoi 14 anni in Ferrari, Manzoni ha trasformato i codici linguistici dell’epoca di Pininfarina in qualcosa di straordinario: “Abbiamo attraversato fasi diverse, progetti dove la componente ingegneristica aveva un certo peso nella definizione della forma con alcuni elementi fin troppo esasperati, per arrivare progressivamente a vetture che sono diventate più pure, più scultoree”. Si è arrivati alle Formula 1 in abito da sera o al Purosangue, dove Manzoni è riuscito a progettare una vera Ferrari a ruote alte facendo galleggiare la carrozzeria sulla parte tecnica. Una storia che non è finita, come ha dimostrato la 12 cilindri con cui ha sorpreso una volta di più il mondo. Ma l’architetto Manzoni vuole prendersi l’applauso finale anche con un po’ di poesia e cita una frase che il Ghirlandaio disse a Michelangelo: “La creazione di un’opera d’arte è un atto d’amore”. Esattamente come le sue Ferrari.

Exit mobile version