Pensare il modo differente per muoversi in modo intelligente”. Il tema del convegno promosso da Federmotorizzazione e Confcommercio Mobilità e tenutosi alla Next Mobility Exibition alla Fiera di Rho-Pero ci proietta nel futuro senza certezze della mobilità. C’è una domanda che è lecito, o forse addirittura necessario, porsi oggi pensando alla mobilità europea di domani: “A Bruxelles qualcuno si affaccia ogni tanto alla vita reale?”. Le scelte così perentorie partorite dal Parlamento Europeo in tema di mobilità, soprattutto alla luce delle numerose crisi che assillano più o meno tutti i 27 Stati membri, potrebbero infatti suscitare il dubbio che le linee guida siano figlie di un pensiero forse nobile, ma difficilmente praticabile. “L’incertezza – ha detto l’eurodeputato Salini – deriva da fattori che non sono controllabili nei luoghi dove si assumono le decisioni politiche. Ora il percorso si annuncia estremamente duro per cercare di modificare quei provvedimenti così staccati dalla realtà assunti dalla Commissione UE, che guarda a una riduzione del 100 per cento delle emissioni di CO2 al 2035, e prevederebbe solo la trazione elettrica. Primo punto sarà ottenere una modifica al-meno del metodo se non del target, introducendo un più reale conteggio sull’intero ciclo di vita dei veicoli”. “Serve un diverso approccio al tema dello sviluppo della motorizzazione elettrica tra il Nord Europa, più ricco, e il Sud Europa Mediterraneo, più povero – ha detto Simonpaolo Buongiardino, Presidente Federmotorizzazione e Confcommercio Mobilità – Il cittadino medio italiano non acquista auto elettriche perché non se le può permettere: i decisori politici, finalmente, devono farsi interpreti dei bisogni dei cittadini e adottare linee adatte al nostro Paese, puntando con decisione allo svecchiamento del parco inquinante, il più vetusto d’Europa, anche attraverso le motorizzazioni tradizionali di ultima generazione, piuttosto che insistere su un obiettivo irraggiungibile di una transizione elettrica accelerata. Non è possibile inseguire gli obiettivi temporali dei Paesi del Nord Europa che hanno, mediamente, il 60% di reddito più alto e possono permettersi, come vettura elettrica più venduta, una Tesla che costa tra 60.000 e 80.000 euro”. Pierluigi Ascani, presidente di Format Research, ha presentato i risultati di uno studio che mette a confronto la visione dei cittadini e delle imprese sugli effetti della transizione elettrica in atto. “Gli ostacoli sono diversi. I cittadini accusano l’insufficienza dei servizi di trasporto pubblico urbano e l’integrazione tra città diverse. Lo studio evidenzia che il 56 per cento dei cittadini ritiene che la transizione impatterà pesantemente sugli spostamenti, ma anche che l’84,5 per cento degli italiani comprerebbe un’auto elettrica, ma solo se costerà fino a 25.000 euro. Per quanto riguarda l’impatto sulle imprese, il 34,5 per cento dei responsabili prevede un impatto negativo, con il 2,6 per cento che vede nero, e ipotizza il rischio di chiusura”. Emerge insomma una reale disponibilità ad aderire al cambiamento, sia dei singoli che delle aziende, ma anche una serie di perplessità che derivano dalla consapevolezza di quanto ancora sia difficile passare dalla teoria alla pratica. “Il percorso della transizione avanza con un’overdose di ideologia – ha detto l’eurodeputato Borchia – C’è da sperare che l’apertura di Greta Thunberg, che ha recentemente considerato un errore lo spegnimento delle centrali nucleari in Germania, rappresenti uno spartiacque. Non dobbiamo dimenticare che gli ambiziosi obiettivi europei sono troppo sfidanti e ideologici e, così come proposti, mettono a repentaglio la competitività industriale europea. Sono i crudi numeri a dirci che stiamo andando in una direzione difficile da sostenere. Anche perché i 730 euro medi di aumento dei costi di produzione per ogni auto saranno scaricati sugli utenti, con un evidente impatto sulla competitività”. La determinazione ostinata e preconcetta con cui si vorrebbe imporre politicamente il passaggio alle auto elettriche, non considera le molte altre possibilità che il progresso della tecnologia può offrire anche continuando ad autorizzare i tanto vituperati motori endotermici. Valga, su tutti, il caso dei carburanti alternativi, biologici o sintetici ad esempio, che nulla hanno a che fare con le fonti fossili. La decarbonizzazione, fattore determinante nel contrasto all’emissione di sostanze clima alteranti, infatti, non trova nei soli veicoli elettrici la propria applicazione. La gente comune, insomma, ma anche le aziende, vorrebbero sì rendersi parte diligente verso la realizzazione di un ambiente più sostenibile ma vivono con preoccupazione il diktat elettrico del quale conoscono, in parte o del tutto, le contraddizioni e la difficile convivenza. Meno Co2 insomma è imperativo, certo, ma ci si aspetta che a Bruxelles comprendano che una maggiore attenzione alle esigenze delle persone comuni e una più spiccata neutralità tecnologica vengano applicate con estrema lucidità.