Orgoglio generalista,Volkswagen non tradisce

Alessi, direttore di VW Italia: “Il nostro ruolo è essere il brand di maggior volumema stiamo cercando di passare da costruttore di veicoli a fornitore di mobilità”

Ma il “generalismo” nell’auto ha un futuro? C’è una tendenza che fa pensare: gran parte dei costruttori stanno puntando sul mercato del lusso, in alcuni casi togliendo dai propri listini i modelli più popolari, o alzando il livello minimo degli equipaggiamenti. Mercedes e (in maniera meno evidente) Bmw dichiarano apertamente l’ulteriore svolta verso l’alta gamma e la focalizzazione su clienti di livello superiore, i soli in grado di acquistare le vetture che produrranno da qui in avanti. Anche Audi si è adeguata con l’uscita di scena di modelli più contenuti nelle dimensioni (e meno redditizi) come la A1 e la Q2, che non avranno una prossima generazione. Sin qui, forse era scontato. Ma ecco che alcuni brand generalisti che iniziano a seguire l’onda, visto che non avremo una nuova Citroen C1 né la Peugeot 108 – utilitarie amate – ma sempre più Suv che piacciono ai consumatori e permettono migliori margini alle Case. 

Se esiste un mercato dove questo fenomeno può cambiare sensibilmente le carte è quello italiano dove il parco auto (vecchissimo, tra l’altro) è dominato dai marchi generalisti per il 70%. Ma soprattutto, si vede dalle immatricolazioni che siamo il Paese delle “piccole”: nel primo (orribile) trimestre 2022, mettendo insieme il segmento A e B si arriva al 55% del totale, se aggiungiamo il C si sale a quota 83,7%. Non è che in questi segmenti manchino le premium, ma basta tornare alla top 50 delle più vendute e bisogna scendere al 24° posto per trovarne una, la Bmw X1. Magari uscirà di scena pure lei. 

Ipotesi a parte, una delle storiche espressioni del “generalismo” è Volkswagen: bastano nome (in tedesco significa “vettura del popolo”) e l’atto fondativo che risale al 1937 per confermarlo. L’anno precedente, un geniale ingegnere con tante idee in testa – Ferdinand Porsche – aveva presentato al Fuhrer tre prototipi (due berline e una cabriolet) che rispondevano alla richiesta di un’auto che fosse in grado di motorizzare i tedeschi di classe meno abbiente. Missione riuscita prima del conflitto mondiale e ripresa subito dopo. Volkswagen è un brand mondiale, capofila di un gruppo che lotta con Toyota per la leadership ma è soprattutto padrone dell’Europa con una quota sul 10%, frutto del primato in molti Paesi e di tante vendite ovunque. In Italia, viaggia sul 7% preceduto da Fiat con una profonda differenza, che fa pendere la bilancia a suo favore nel futuro. 

Il marchio di Wolfsburg continua a sfornare un modello dopo l’altro, con un evidente impegno sul fronte elettrico (vedi gamma ID), il brand di Stellantis vende il doppio entro i nostri confini ma per tre quarti è frutto delle sole Panda e 500. Volkswagen ha al tempo stesso i vantaggi e le responsabilità di essere la capogruppo di un poker in evoluzione (formato da Audi, Skoda, Seat e Cupra) che non trovano lo stesso rendimento nel Vecchio Continente. 

“Il nostro ruolo è essere il brand ‘top volume’ mentre è evidente il loro impegno, anno dopo anno, di aprirsi nuovi spazi– sottolinea Andrea Alessi, direttore della marca Volkswagen in Italia – ci consideriamo dei generalisti di fascia alta, senza entrare nel premium. Al di là delle discussioni se abbia ancora senso fare auto di ogni categoria, per noi si tratta di seguire una antica vocazione al nostro meglio. Non abbiamo intenzione di tradire la nostra origine, certo è obbligatorio evolversi continuamente: il problema è farlo senza errori”. Per ora, VW riesce nell’impresa: la gamma, soprattutto nei segmenti A-B-C è imponente: Up!, l’eterna Polo, l’iconica Golf e la serie dei Suv di successo quali T-Roc, T-Cross e Taigo che appena presentata ha fatto il pieno di ordini. Ma Alessi resta cauto. “Ci sentiamo un equilibrista sulla fune e le spiego perché: la strada è stata tracciata e non cambierà, ma la forzatura dei ‘regolatori’ non trova riscontro in un mercato che si stava evolvendo magari più lentamente, in modo autonomo. La cosiddetta ‘elettrificazione’ è un passaggio complicato per i clienti: a parte una nicchia, continuerebbero ad acquistare le auto termiche in attesa di passare a quelle elettriche pure. Elettrificare è qualcosa di ibrido già nel concetto, non una soluzione definitiva come le auto a zero emissioni che ci vedono protagoniste convinte sul mercato”. Infatti, a fronte delle variante mild-hybrid e plug-in di Golf, se non si vuole acquistare un’auto benzina, diesel o GPL si salta direttamente alla gamma ID, in pieno sviluppo. Insieme alla nuova e-Up! ci sono ID.3, ID.4 e ID.5. “Prima non aveva senso spingere, fermo restando che VW aveva già la Golf elettrica in tempi non sospetti quindi non è mai stata avversa alle zero emissioni e ha incontrato subito il favore dei fedeli: le ID sono piaciute a clienti Volkswagen non ad alieni, questo è fondamentale. Ora c’è una gamma completa– per ora siamo i soli generalisti ad averla creata – che sarà potenziata con la ID.Buzz: un’operazione tecnica e filologica visto che si tratta di riproporre in chiave moderna un’icona del passato”. 

Le idee sono spesso ottime (non solo di Volkswagen, ovvio) ma il mercato italiano langue: perché? “La politica dell’annuncio di incentivi ha fatto seri danni, sommandosi a fattori esterni in serie. Però, si vede che mentre le PHEV e le BEV hanno subito i danni maggiori, MHEV ed HEV – che si basano su motori termici e non richiedono ricarica – hanno aumentato le quote rispettive. In ogni caso, è una fase piena di rischi dove si riscontra una visione ben diversa dell’auto da quella di un tempo. Anche per questo, stiamo cercando di passare da costruttore di veicoli a fornitore di mobilità”. Non è facile, anzi. “E’ vero, si tratta di un processo lento che necessita di un approccio culturale e non solo del mutare l’organizzazione logistica-commerciale. Ecco perché stiamo investendo molto sulle persone: dobbiamo tenere fede all’impegno storico di servire tutti gli automobilisti”.

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