Se adesso mister Toyota avesse davvero ragione?

I dubbi di Akio Toyoda, il presidente del maggior costruttore mondiale “Non importa quanti progressi faranno le elettriche: non domineranno mai. I consumatori e le aziende non dovrebbero essere obbligati a scegliere”.

Al di là dei mestieranti e dei politici che parlano per convenienza, sono in chiaro aumento i grandi manager dell’automotive che esprimono apertamente dubbi sulla transizione all’elettrico o meglio ai risultati che ne deriveranno. Ora non tutti posseggono la verità in tasca (magari) e molti appaiono contraddittori da un passaggio all’altro. Il vero problema per i sostenitori della Svolta è quando parla Akio Toyoda: semplicemente il presidente di Toyota, primo costruttore mondiale. Numeri inequivocabili: 11.233.039 unità vendute con un incremento del 7,2% rispetto al 2022. Risultato arrivato grazie ad auto, veicoli commerciali e mezzi industriali a marchio Toyota, Lexus, Daihatsu, Hino. Il gruppo è leader anche solo considerando i modelli per passeggeri: escludendo la Hino Motors, ha piazzato circa 11,1 milioni di vetture, contro i 10,33 milioni del 2022. E va sottolineata la performance di Lexus che ha segnato un record storico nel corso del 2023: 824.258 unità, + 132% rispetto all’anno prima. Tanto per capirsi, il Gruppo Volkswagen – non proprio dei pivelli – ha venduto un paio di milioni di auto in meno, ma non stupisce pensando che si incontrano Toyota Land Cruiser nei deserti africani o asiatici, migliaia di Yaris in Europa, un mare di Corolla (da anni la vettura più venduta sul pianeta e prima nella storia dell’auto con 43 milioni di unità prodotte) dall’Australia al Sudamerica, dagli Emirati Arabi al Sudafrica. Ecco perché i ‘sassi’ lanciati da Toyoda fanno male a tanti. L’ultimo è arrivato a fine gennaio quando da presidente del Consiglio di Amministrazione – da aprile 2023 ha ceduto la carica di amministratore delegato, dopo 14 anni, a Koji Sato – ha detto serenamente “Non importa quanti progressi facciano le elettriche, avranno al massimo una quota di mercato del 30%, pertanto non arriveranno a dominare il mercato”. Poi un altro sassone: “I consumatori non dovrebbero essere obbligati ad acquistare auto elettriche nè l’industria subire imposizioni industriali da parte dei politici”. In pratica, i veicoli a batteria non dovrebbero essere sviluppati escludendo tecnologie come l’ibrido o le celle a combustibile di idrogeno e quindi è preferibile “un approccio tecnologicamente neutrale alla transizione energetica e su più fronti perché il vero nemico da combattere non è l’auto, bensì la CO2”. Mai il buon ‘Morizo’ – lo pseudonimo con cui ha gareggiato nelle gare di durata per un decennio – era andato così in profondità. Ma si fa ascoltare non solo per il ruolo societario ma per una storia unica: classe ‘56, da Nagoya, ha respirato il mito sin dalla culla. Suo bisnonno era Sakichi Toyoda, sorta di semidio in Giappone: soprannominato il ‘re degli inventori’ viene considerato il padre della rivoluzione industriale del suo Paese, partendo dalla creazione dei telai in legno. Il nonno era invece Kiichirō, a cui si deve la suddivisione dell’azienda paterna, nel 1933, in diversi settori, tra cui quello automotive con la fondazione della Toyota Motor Corporation. Al padre di Morizo, Shoichiro Toyoda (presidente della Casa dal 1992 al 1999) si deve la scelta geniale di iniziare a produrre veicoli all’estero e intraprendere il marchio Lexus. Entrato in azienda nel 1984, Akio – laureato in giurisprudenza e con un master in economia – ha girato per il mondo sino ad entrare nel Consiglio di Amministrazione nel 2000 ma è riuscito a diventare presidente solo nel 2009 quando prese il posto di Katsuaki Watanabe ristabilendo la linea dinastica. Guarda caso, il cambio avvenne dopo che per la prima volta dal 1941 (anno del primo bilancio) Toyota chiuse l’anno in rosso con una perdita di 150 miliardi di yen, pari a 1,7 miliardi di euro, con una riduzione globale delle vendite. Morizo è stato bravissimo, in particolare nel suo periodo conclusivo da CEO: nel 2020 – dopo cinque anni di primato del Gruppo Volkswagen – ha ripreso lo scettro delle vendite nel mondo e non l’ha più perso, aumentando il vantaggio stagione dopo stagione. Forse (o soprattutto per questo peso) si è sentito in dovere di esprimere visioni in deciso contrasto con la politica (e il pensiero, vero o finto) imperante. E di lanciare previsioni, ovviamente influenzate dalla rotta presa da Toyota che ha accumulato ritardi sull’elettrico ma in compenso ha praticamente imposto le soluzioni ibride a tutti e sta lavorando bene sull’idrogeno. «Resta un 70% a disposizione di quanti costruiscono vetture ibride e a idrogeno. Non ho dubbi, quindi, che i veicoli a motore termico sopravviveranno. E questo non sarà deciso dai regolamenti o dal potere politico, ma dai clienti e dal mercato» sottolinea. C’è poi un’altra interessante considerazione che il manager mette sul piatto «Grazie all’introduzione delle ibride, 20-30 anni fa, il Giappone è l’unico Paese sviluppato ad aver ridotto le emissioni di CO2 del 23%. L’importante non è a quale tecnologia passare perché il nostro nemico è il carbonio e dovremmo tutti pensare quindi a come ridurne le emissioni». Provocazione istintiva o lucida considerazione? Di certo, Morizo sa di cosa parla e conosce le auto. Basta un episodio sul tema: nel 2016, Toyoda approvò il progetto che avrebbe portato alla GR Yaris. Durante lo sviluppo, come collaudatore, si schiantò con il primo esemplare durante un giro di prova su una pista di Hokkaido: sceso dall’auto da solo, osservando con un sorrisino che “non gli piaceva la sensazione”. Bene, non solo il signor Akio – CEO e presidente all’epoca – ha continuato a guidare i prototipi per mettere a punto il modello di serie, ma ha condotto personalmente una campagna per la GR Yaris nelle competizioni in patria. Grande, Morizo.

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