La sicurezza non è unisex Le donne rischiano di più

Nei crash test si tende ad utilizzare manichini dalle sembianze maschili. Le donne hanno il 73 per cento in più di probabilità di subire lesioni gravi. Volvo si distingue: ha anche un modello virtuale di donna in gravidanza.

Le strade continuano ad essere pericolose. Nonostante i progressi il pericolo non è stato ancora azzerato. La distrazione, la velocità, un certo senso di immunità che continua ad accompagnare certi guidatori sono sempre delle armi mortali. Secondo l’OMS, gli uomini, spinti da un senso di imprudenza e temerarietà, sono i più inclini a diventare vittime degli incidenti stradali. Soprattutto quando si siedono al volante di motociclette e auto, si abbandonano a comportamenti che sfidano il destino. Ma la strage non risparmia neanche le donne, che spesso pagano un prezzo elevato come pedoni e passeggeri. Le scelte imprudenti degli uomini diventano sentenze di morte per le donne, trasformando la strada in un luogo di ingiustizia stridente. La disparità di genere emerge a partire dai crash test, eseguiti con manichini dalle sembianze maschili con media corporatura. Questo potrebbe spiegare perché le donne abbiano il 73 per cento in più di probabilità di subire lesioni gravi nelle collisioni frontali. E’ ora di cambiare questo macabro copione e rendere le strade sicure per tutti. I muscoli del collo sono di solito più deboli nelle donne, quindi, se si confronta il collo di un manichino maschile con quello di una donna, quest’ultimo risulta essere più flessibile e con più movimenti quando si esegue lo stesso crash test alle stesse velocità e accelerazione. Il pioniere dei manichini da test d’impatto fu Sierra Sam, un “dummy” di 1,82 m nato nel 1949, selezionato per valutare l’efficacia dei sedili eiettabili sui caccia. Ancora oggi, la maggior parte dei crash test continua a seguire uno standard che rappresenta prevalentemente un individuo maschio, con caratteristiche fisiche medie. Volvo si distingue come un caso unico nel settore automobilistico: dal 1995 conduce crash test utilizzando una varietà di modelli di manichini “femminili”, adattamenti dell’esemplare maschile, in dimensioni leggermente più piccole. Nel 2000, ha segnato un importante traguardo introducendo il primo modello virtuale di una donna in stato di gravidanza. Con l’obiettivo di rendere possibile la creazione di condizioni migliori sia per le donne che per gli uomini, SET 50F è il primo manichino, svedese, per crash test modellato interamente su un corpo femminile. Anatomia e sicurezza rappresentano un binomio cruciale. Le donne, essendo generalmente più leggere, vengono scagliate in avanti con maggiore forza in caso di collisione. Inoltre, la loro massa ossea e muscolare inferiore le rende più suscettibili a fratture e lesioni gravi. I risultati ottenuti dai crash test suggeriscono che il SET 50F possa essere utilizzato per valutare la sicurezza di qualsiasi donna adulta media alta circa 1,6 m e sui 62 kg, durante un “impatto posteriore di bassa gravità”. Secondo i ricercatori rappresenta almeno il 25-50 per cento delle donne. Non esiste nessun altro manichino per incidente automobilistico utilizzato attivamente al mondo che copra una popolazione femminile così numerosa. Abbiamo dovuto, dunque, attendere 75 anni dopo Sierra Sam perché le case automobilistiche potessero progettare in modo più accurato le auto, rendendole più sicure per un maggior numero di persone. Seguendo la stessa tendenza, anche i test di sicurezza delle funzioni ADAS utilizzano un manichino in versione maschile. Immaginiamo la seguente situazione: un veicolo di prova è equipaggiato con radar e telecamere. Un algoritmo progettato per prevenire incidenti con i pedoni è stato testato con successo su una pista utilizzando un manichino standard alto 1,8 m. Tuttavia, mentre l’auto si muove lungo una strada aperta, si trova di fronte a una persona di statura inferiore. Nonostante la telecamera rilevi la presenza della persona, i radar non riescono a farlo. L’algoritmo, addestrato per identificare una corporatura specifica, valuta che la persona di statura inferiore sia più lontana della realtà. Di conseguenza, il sistema applica un errore di decelerazione e il veicolo collide con il pedone. L’algoritmo non è difettoso, poiché rispetta i requisiti di sicurezza, ma non affronta la varietà di scenari possibili. Una ricerca dell’Università di Oxford ha studiato 33 metodi di identificazione dei pedoni e ha riscontrato distorsioni in questi algoritmi legate all’età e al genere. I dati e gli algoritmi possono contenere i pregiudizi dei loro sviluppatori e questi bias algoritmici possono avere gravi conseguenze che, nel caso dei veicoli autonomi, possono letteralmente rappresentare una questione di vita o di morte. Quindi, le donne guidano meno, ma rischiano di più come passeggere, camminano di più degli uomini e, se non sono vittima dello smog, rischiano molto di non essere viste dagli ADAS, ergo, non ci resta che fare buon uso dei mezzi pubblici! Dal recente rapporto di Arup, una società internazionale che fornisce servizi di design e architettura, emerge in maniera allarmante il numero di donne scoraggiate dall’utilizzare i trasporti pubblici per motivi di sicurezza: in Irlanda il 55 per cento delle donne ha dichiarato di non voler utilizzare i trasporti pubblici di notte, mentre il 34 per cento ha affermato che un senso di insicurezza ha impedito loro di viaggiare; i risultati in Francia sono ancor più preoccupanti, in quanto l’87 per cento delle donne sostiene di essere stata vittima di molestie sessuali, aggressioni sessuali o stupri sui mezzi pubblici. Questo documento espone anche esempi di stratagemmi adottati dalle donne per salvaguardarsi, come ad esempio prolungare il percorso di viaggio di una fermata oltre il necessario, per evitare stazioni considerate non sicure, o mantenere le chiavi in mano come una sorta di arma improvvisata. Altro dato significativo: il 61 per cento delle viaggiatrici si sposta con bambini in passeggino o persone su sedia a rotelle, ma i tornelli spesso non sono sufficientemente larghi per accogliere questi dispositivi di mobilità. Molte stazioni ferroviarie non sono dotate di ascensori funzionanti e i servizi di bike sharing e i veicoli ride-hail non offrono seggiolini per bambini. Le strategie di miglioramento più elementari ma molto efficaci sono: – Illuminazione più brillante delle stazioni, vagoni con personale di bordo ben segnalati, telecamere di sorveglianza e pulsanti di emergenza, molteplici mezzi di comunicazione per accogliere le persone con disabilità visive o uditive. – Ascensori e cancelli d’ingresso più ampi. – App di pianificazione del viaggio che tengano conto della sicurezza personale, ad esempio indicando percorsi a piedi lungo strade ben illuminate. – Mobilità condivisa, in bici e monopattini, pensata per esigenze particolari, con seggiolini per bambini, posti per borse e pacchi, e bici tandem o bike sharing pensati per i bambini. – Pianificazione dei trasporti e design delle città che tengano conto delle diverse esigenze. E ovviamente, in primis, il rispetto per tutti e la responsabilità di tutti.

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