Mimo e Motor Valley: la via italiana ai saloni

Il successo della rassegna milanese apre nuovi scenari per il futuro. Il professor Buzzavo: “Non basta vedere le auto solo su internet”. Duse di Alix Partners: “Va tutto ripensato, ma in chiave consumer”

MIMO 2021

MIMO 2021

Dove eravamo rimasti con i Saloni dell’auto? Alla cancellazione della kermesse ginevrina nel marzo 2020: era il 28 febbraio, pochi giorni prima che venisse giù il mondo: ora fa sorridere ripensare che tutti erano curiosi di vedere lo stato di salute dopo il mezzo flop del Salone di Francoforte 2019. Come sempre ‘illimitato’ per le Case tedesche ma con un mare di assenze: padiglioni con ampi spazi a disposizione, riempiti con un’inedita mostra di auto d’epoca e un po’ di tutto, compresi i colossi della comunicazione. Che non siano più i saloni di una volta è certezza: troppo costosi per le Case (che infatti hanno iniziato a disertarli, senza drammi), sempre meno frequentati dal pubblico che da un lato non vive più spasmodicamente l’attesa del nuovo modello (effetto delle anticipazioni online) e dall’altro ragiona sul costo del viaggio, a meno di non vivere in prossimità della fiera.

Si naviga a vista, ora più che mai. A Ginevra, dopo una rivoluzione organizzativa ed economica, è annunciata l’edizione 2022 dal 19 al 27 febbraio. Funzionerà? Intanto, ci sarà modo di verificare la situazione al Salone di Monaco dal 7 al 12 settembre: un mini-Francoforte per spazio e ambizione, dove ci saranno sicuramente le Case tedesche. Ma il resto è tutto da verificare. Fa riflettere sul tema il successo del recente MiMo, evento di popolo più che di addetti ai lavori: per tre giorni, migliaia di persone hanno scoperto gli ultimi modelli – sino a quel momento visti solo sui media – come le auto da sogno, in uno scenario inconsueto quale il centro di Milano, da Piazza Duomo a Piazza San Babila. L’hanno occupato pacificamente, suscitando le ire delle potenti tribù verdi (geniale, il sindaco Sala nel predicare un ‘pragmatismo ambientalista’) ma godendo del colpo di fortuna: è stato il primo evento delle ritrovata libertà, poco importa che il pubblico non era quello che prendeva l’auto per andare al PalaExpo ginevrino.

C’erano oltre 60 brand dell’auto e della moto che hanno esposto almeno un veicolo, in molti casi al debutto in pubblico dopo la presentazione in streaming – spiega il presidente e fondatore del MiMo, Andrea Levy che è anche collaboratore de il Foglio Mobilità – significa che il nostro format ‘democratico’ dove ogni espositore ha a disposizione una pedana uguale all’altra piace. E’ l’opposto del concetto dei saloni prima del Covid-19 dove le differenze tra chi può spendere e chi no erano diventate esagerate, creando una separazione insensata”. Levy, che ha spostato intelligentemente la kermesse dal Parco Valentino di Torino alla più ricettiva Milano, con Monza annessa, ha in mente lo spirito del Goodwood Festival of Speed ma sa bene che l’Italia è pianeta diverso (almeno per le auto e le moto). Il ‘giochino’ (serio, ma non è un salone semmai una bellissima esposizione all’aperto, gratuita) dovrà portare a qualcosa di più evoluto, con l’iconica Monza in un ruolo importante e non limitato come nell’edizione appena conclusa che ha comunque registrato 57.835 scansioni totali dei codici QR delle vetture esposte a Milano, praticamente una ogni 4 secondi.

Il MiMo, in definitiva, è un laboratorio interessante e molto ‘automobilistico’, di passione pura, che va contro l’auspicata trasversalità delle rassegne che ha riempito di automotive, le ultime edizione del CES a Las Vegas e iniziato a conquistare il Mobile World Congress di Barcellona. Luca De Meo, CEO del gruppo Renault, è fautore antico della filosofia. “Oggi metà del valore di un’auto è costituito da componenti elettroniche – sostiene – quindi è naturale organizzare rassegne dove le Case dialoghino strettamente con le aziende di software”. Forse non basta, ma è evidente che la crisi dei saloni arriva da lontano e non è stata causata, semmai aggravata, dalla pandemia. “Una quindicina di anni fa, è iniziato un effetto domino che ha portato alla situazione attuale – è l’opinione di Leonardo Buzzavo, professore associato del Dipartimento Management di Cà Foscari nonchè fondatore e presidente di Quintegia – successivamente lo sviluppo esponenziale del digitale, la nascita di rassegne trasversali, la razionalizzazione dei costi ha innescato un ragionamento da parte delle Case sulla necessità o meno di partecipare. Prima guai a mancare perché andavano tutti, ma non appena qualcuno ha mollato, ecco che è partita la frana. Ma attenzione a considerare finita l’era dei saloni: al di là della crisi reale del mercato, mai come oggi si riscontra interesse da parte del pubblico, che si è accorto di vivere un cambiamento epocale e non si accontenta di vedere i modelli on-line. Gli appassionati amano ancora toccare le auto e appena possibile lo faranno ancora”. Questo vale anche fuori dall’Europa: il Salone di Shanghai, svoltosi a metà aprile, non solo ha avuto una buona presenza di Case europee e americane oltre a quelle di casa, ma ha registrato – malgrado un duro regime di attenzione al distanziamento e ai numeri di ingresso – 810mila visitatori. Anche oltreoceano hanno fretta di tornare in pista: il Salone di New York, di solito fissato in aprile, non aspetterà il 2022 per ripartire visto che è stato anticipato a fine agosto. E il famoso NAIAS che si teneva a Detroit si farà a fine settembre ma a Pontiac: grande spazio all’aperto, una pista di 2,4 km per dare l’ebbrezza di provare le auto e un nome che fa sorridere quale Motor Bella. Altro segnale dei tempi. “L’auto sta diventando un grande smartphone su quattro ruote, ma con una complessità ben superiore – sostiene Dario Duse, managing director di Alix Partners, la società che pubblica il Global Automotive Outlook – per questo i saloni vanno ripensati sempre più in chiave consumer, creando una sorta di grande ‘paese dei balocchi’ e togliendone l’antica sacralità. Al di là delle scelte organizzative, mi sembra che le Case erano più preoccupate di presentare un sacco di modelli, ormai in maggioranza ibridi o elettrici, ma non riuscivano a calamitare realmente l’attenzione. Erano troppi, spesso passavano inosservati pure ai media. Anche per questo, i costruttori più piccoli presenziavano solo al Palaexpò di Ginevra, molto ‘concentrato’ o ragionavano sempre di più sulle rassegne non tradizionali. Ecco perché sarà interessante vedere i prossimi scenari”.

A ben vedere, la strada offre due diramazioni. La prima a base di rassegne per gli appassionati storici (ma soprattutto da conquistare, vista la chiara difficoltà di vendere auto ai più giovani) incentrate sulla passione: un altro test a breve, sarà il Motor Valley Fest 2021 a Modena, dall’1 al 4 luglio, che sta diventando una cosa seria, avvolta nell’entusiasmo emiliano. Brand ambassador Massimo Bottura, vede coinvolte Case quali Ferrari, Maserati, Ducati, Lamborghini, Pagani, Dallara e tante start-up del settore: un festival ‘diffuso’ con format ibrido (fisico e digitale) tra la città ducale e i circuiti, con vasto spazio ai convegni ma anche auto da vedere. La seconda legata a eventi di ‘contaminazione’, che può voler dire specializzazione ma anche esibizione pura come avveniva alla Design Week milanese. Qui il focus era sullo stile, con soddisfazione per le Case e tanto pubblico, non per forza fissato con il volante. Certo, anche il futuro della Design Week è da decifrare, quindi siamo in buona compagnia.

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