Con “Re-generate Planet”, Audi ha messo a confronto vari punti di vista Longo: “Il cliente di oggi ha bisogno di riconoscersi in un’azienda etica”.
Innovarsi significa sopravvivere. “Anche se ormai stiamo uscendo dalla fase della resilienza”, dice il sociologo Francesco Morace. “Sostenibilità e transizione ecologica sono invece aspirazioni collettive che dureranno decenni: per soddisfarle, ci vuole creatività”. Secondo un nuovo paradigma fra impresa, società e ambiente. È questo il filo conduttore di ‘Audi Re-generate Planet’, l’evento nel segno della casa automobilistica tedesca, per affrontare il tema del progresso etico tra umanesimo e tecnologia. Siamo nel campus di H-Farm (Roncade, provincia di Treviso), uno dei poli di innovazione più all’avanguardia d’Europa. Platea di studenti, startupper, imprenditori. E sul palco Fabrizio Longo, il direttore di Audi Italia che dà il via al dibattito con Morace. “Negli ultimi 25 anni la sensibilità è profondamente cambiata”, dice il primo. “Un’azienda che non si pone in modalità d’ascolto”, come suggerisce il nome stesso del brand, “ormai è destinata a sparire. Soprattutto nel nostro settore, che in passato si caratterizzava per un’esibizione muscolare, quasi futuristica, del veicolo a motore. Oggi invece sono cambiati gli assi valoriali. L’automotive non è più qualcosa di riferibile al prodotto. Che semmai è il detonatore di un fenomeno sociale ben più ampio”. La mobilità. “Per le imprese il miglior progettista sarà sempre necessario, ma non sufficiente. Stanno emergendo altre competenze fondamentali, che esaltano il ruolo degli umanisti prestati al business. Così si riscrive il modo di rapportarsi con questo bene di consumo, sempre più socialmente dilatato. E noi siamo chiamati ad affrontare una sfida profonda: cambiare pelle”. La congiuntura è particolarmente favorevole, perché “per la prima volta nella storia dell’uomo”, interviene Morace, “il conflitto generazionale ha lasciato spazio a un ponte: boomer, millennial e Gen Z convergono tutti attorno ad alcuni pilastri come il clima. È un’alleanza di grande potenziale. Dove la parola chiave è propiziare: noi, più maturi, che mettiamo in condizione loro, più freschi e attenti, di poterci aiutare. Questa è la strada per il cambiamento. E un’opportunità molto italiana. Siamo i primi al mondo per tempo trascorso dai giovani con nonni e genitori: un limite ma al tempo stesso un privilegio”. La pressione ambientale spinge a trovare risposte rapide, ma non frettolose. “E in questo senso la cultura dell’errore va tutelata”, di nuovo Longo. “Non permettere alle persone di sbagliare significa imprigionarle dentro l’azienda. Spesso nel mondo imprenditoriale viviamo di intuizioni ottime ma fragili. L’efficacia dell’innovazione tecnologica va dimostrata attraverso la consistenza. E nel rispetto della rivoluzione culturale in corso: il cliente oggi vuole riconoscersi in un’azienda etica”. Per questo la corsa alla produzione green è diventata un must. “A parole per tutti. Ma prestate attenzione ai fatti”, dove Audi è tra i colossi automobilistici più avanzati: attualmente il 41 per cento dell’elettricità utilizzata negli impianti deriva da fonti rinnovabili, il suo programma ‘Mission Zero’ ha consentito di risparmiare 480mila tonnellate di CO2 nel solo 2021, mentre il processo di decarbonizzazione degli stabilimenti li renderà a impatto zero entro tre anni, rendendo così sostenibile l’intero processo produttivo. “Tutti questi elementi ci stanno portando verso aree di competenza inesplorate, fino a rendere Audi un’incubatrice di start-up”. Il risultato di questo approccio è la divisione Audi Denkwerstatt, fondata nel 2016 a Berlino per sviluppare nuovi modelli di business. “Un vero e proprio think tank”, spiega Tim Miksche, a capo dell’ambizioso progetto: “Ogni giorno riuniamo investitori, stakeholder, sviluppatori. Insieme facciamo attività di scouting e fungiamo da ideation hub: sia nella forma di pre-acceleratore – per singoli individui con intuizioni imprenditoriali –, sia come acceleratore di start-up già avviate. Finora funziona. Ma non bisogna mai smettere di mettersi in discussione. Altrimenti si resta indietro”. Il fine ultimo di Audi è “riscrivere l’ecosistema urbano. Un tema affascinante”, la parola torna al direttore Longo, “che potrebbe perfino comportare un calo nella vendita di automobili: se l’avessi detto nel 2000 avrei perso il posto”. Invece stiamo correndo verso un altro mondo. Dove chissà, mettersi al volante non sarà affatto una preoccupazione. “La guida autonoma è un’altra grande questione. Siamo all’avanguardia anche su questa tecnologia, ma mancano due aspetti fondamentali per definirla: il quadro normativo”, a partire dalla responsabilità oggettiva, “e il potere decisionale della macchina. Se sa di andare a sbattere, come e fino a che punto può agire a tutela dei passeggeri? L’intelligenza artificiale non ha l’obiettivo di sostituire l’uomo, ma di aumentarne il potenziale”. E passiamo alla pratica. “Ogni anno muoiono 1,3 milioni di persone in incidenti stradali. Che nel 90 per cento dei casi sono legati a fenomeni di distrazione: si può dunque abbattere questa cifra. Anzi, si deve. Se la tecnologia riesce a prendere il sopravvento sui nostri limiti, capite il vantaggio sociale che ne comporta? Diventa una scelta etica”. Il concetto viene ripreso dalla filosofa Maura Gancitano, protagonista della seconda parte del dibattito a H-Farm. “La sostenibilità rispecchia il principio di responsabilità di Hans Jonas”, secondo cui “si deve agire in modo che le conseguenze delle nostre azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra. Ecco: negli ultimi decenni non abbiamo agito nel territorio dell’etica, ma della supponenza. E ora ci rendiamo conto di ciò che ci sfuggiva. Partnership significa guardare le diversità, la varietà umana e i modi in cui possiamo esaltare le nostre qualità. È uno scenario moltiplicativo, in cui elementi in apparenza inconciliabili come le intelligenze artificiali e la filosofia possono aiutare a fare impresa”. Segue l’intervento di Adrian Fartade, verso l’infinito e oltre. “Rigenerarci implica rivedere noi stessi e la nostra relazione con l’ambiente”, spiega il divulgatore scientifico. “L’umanità è pronta a diventare multi-planetaria: quel che decidiamo di fare o non fare in questo secolo determinerà la prosecuzione della vita sulla Terra. Che nel lungo termine morirà. Ritardare questo processo permetterebbe alla nostra specie di migrare prima che sia troppo tardi”. Fartade, anche youtuber e scrittore di successo, riesce a sbattere in faccia l’Apocalisse sfruttando i micidiali binari dell’ironia. L’effetto su chi ascolta è evidente. Ma come convincere la collettività, le multinazionali e le grandi potenze ad abbracciare un futuro a zero emissioni? Più tardi, a cena, Fartade ci dà l’unica risposta in grado di mettere tutti d’accordo: “Il profitto. Ignorare le questioni ambientali ora comporta un costo enormemente superiore domani. E chi non si adatta si ritroverà tagliato fuori”. L’esempio storico “è quello del Congo. Un regno che per secoli ha accumulato ricchezze immense sfruttando la tratta degli schiavi, senza investire in strutture durevoli. Terminato il colonialismo, il Congo è rapidamente sprofondato nella miseria: era un modello non sostenibile. Come le lobby del petrolio oggi. Innovare invece ci porterà nel cielo. E i protagonisti dell’automotive come Audi l’hanno capito, cooperando con l’industria aerospaziale per la componentistica di robot e razzi d’esplorazione”. Senza perdere di vista la Terra. Come dice Longo, “è ora di riorientarci. Presto le macchine dialogheranno col tessuto sociale circostante. E i giovani vivono già la mobilità in modo diverso dal nostro: non comprano più l’auto in quanto bene, ma il tempo di utilizzo associato all’auto stessa”. E il tempo per cambiare le cose, sappiamo che è poco.