Da quelli dedicati a Ferrari, Alfa Romeo, Lamborghini e Paganifino al Mauto di Torino e ai preziosissimi Stanguellini e Nicolis.
Leggenda (o realtà) vuole che Ferruccio, stufo dei problemi con la frizione delle sue due Ferrari, abbia deciso di avviare una sua fabbrica di automobili. Dopo aver suggerito una sua soluzione direttamente ad Enzo, ed essersi sentito rispondere: “Lei saprà guidare molto bene un trattore, ma non saprà mai guidare una Ferrari”, decise di far da sé. L’antagonismo, durato per decenni, è arrivato sino a noi, con i film sulle vite di questi due personaggi, girati quasi in contemporanea. Il biopic su Lamborghini ripercorre tutta la lunga vita dell’imprenditore, dalla sua esperienza con i veicoli militari durante la Seconda guerra mondiale alla produzione di trattori, fino a quella delle iconiche auto sportive, utilizzando pezzi unici dell’epoca, molti dei quali esposti al Museo Ferruccio Lamborghini di Funo di Argelato (Bologna), che raccoglie meraviglie, dal primo trattore Carioca (1947), alle prime visionarie creazioni del genio, come la Miura e la Countach. Il Museo nasce dalla collezione del figlio, Tonino che, sin da bambino, ha l’abitudine di cercare e conservare oggetti, compresi i trattori “vecchi”. Ferruccio non era d’accordo, gli diceva di pensare allo studio e gli intimava di non far perdere tempo ai dipendenti, che Tonino utilizzava per il ripristino dei mezzi. Tuttavia, quando a 28 anni questi gli mostrò uno dei primi trattori rigenerati, il padre gli disse: “Quando ho fatto questo trattore, non avevo una lira e avevo la tua età. Bravo, continua”, e così Tonino poté portare la sua raccolta alla luce del sole. Gli era sempre stato ben chiaro che alla morte di Ferruccio avrebbe creato un museo e il padre gli ripeteva: “Fallo vicino all’autostrada, così la gente fa prima a venire!”. Ovviamente, il modello più amato dal fondatore è la Miura, di cui un esemplare è esposto anche al MOMA accanto alla Vespa, alla Olivetti Lettera 22, alla lampada pipistrello di Gae Aulenti. Quella Miura uscita dalla penna di Dallara e Stanzani, diventata un’icona protagonista anche di The Italian Job. Continuando a parlare di film, quello su Enzo Ferrari è stato girato anche grazie al tesoro conservato in un piccolo mausoleo dell’auto che porta il nome modenese più antico tra quelli attivi nel settore automotive dal 1900: il Museo Stanguellini. Le attrezzature meccaniche esposte sono state prestate alla produzione cinematografica per allestire officina e carrozzeria dell’epoca. Collocato nel piccolo opificio nel cuore della città, in cui Vittorio Stanguellini elaborava le sue auto da corsa, entrate nella storia grazie alle leggendarie vittorie in pista, custodisce, tra i tanti elementi in mostra, la Modena 1, una Fiat Tipo 1 del 1908 targata MO/1, che era di proprietà di Celso Stanguellini, un modellino per bambini a motore, ammortizzato, realizzato da Vittorio Stanguellini, la Barchetta 750 e la Formula Junior “Delfino”, collaudata da Fangio, il campionissimo che vinse cinque titoli mondiali di F1 in sette anni, dal ‘51 al ‘57, di cui il primo con Alfa Romeo. È proprio all’inizio degli anni ’50 che prende origine il Museo Alfa Romeo, quando in Italia il collezionismo d’auto non aveva ancora un seguito, concretizzandosi nel ’56 con la costruzione dello stabile presso il sito produttivo di Arese, di fronte alla direzione. Il Museo odierno, in piena continuità con il percorso avviato circa 15 lustri fa, offre un’esperienza in grado di avvicinare sia visitatori generici sia appassionati di auto e motorsport. È diviso in 3 sezioni che rappresentano 3 aspetti del marchio: profondità storica, bellezza e velocità. Dal 2011 sia la collezione sia l’edificio sono sottoposti al vincolo dei beni culturali ed è la prima volta in Italia che le automobili sono considerate opere d’arte anche dal punto di vista normativo. La spina dorsale dell’attività del Museo è nei cicli di conferenze organizzate ogni mese su temi spesso non noti dell’Alfa Romeo. Nel 2020 si è aperta la collezione dei depositi, che svelano al visitatore motori, attrezzature, modelli di gallerie del vento, pannelli e grafiche che decoravano il Museo nella versione del 1976. Inoltre, un terzo livello museale è rappresentato dall’archivio, con circa 6000 m lineari di documenti, immagini, video, disegni tecnici, bozzetti di stile dal 1910 a oggi, che risponde a circa 7000 richieste di consultazione all’anno. Proprio da questi documenti sono stati colti alcuni dei dettagli raccontati nel libro da cui è tratto il film Ferrari. Ritornando a Fangio, l’Alfetta da corsa 158/159, con la quale “El Chueco” vinse il mondiale nel ‘51, e le altre autentiche auto vincitrici dei primi 7 campionati di F1 disputatisi, tra le quali anche la prima Ferrari F2 500 donata con lettera autografa da Enzo, sono conservate al MAUTO di Torino, che quest’anno sta registrando un record di visitatori (+46% rispetto al ‘22 nei primi 8 mesi del 2023, con la previsione di chiudere l’anno contando 300.000 ingressi). Sono molti gli eventi tematici organizzati, ad esempio quelli celebrativi di Lamborghini e Senna, e The Golden Age of Rally, insieme alla Fondazione Gino Macaluso, con la quale si è rivoluzionato il concetto espositivo mettendo in mostra la bellezza grafica della livrea e la storia dei piloti. Questo linguaggio multidisciplinare attraverso il quale il Museo attrae e dialoga con i propri visitatori è una costante. Poesia, storia, cinematografia, pop-art sono stati collegati allo sviluppo dell’automobilismo nel corso dei decenni, e su questo legame si sono basate mostre temporanee che hanno acceso i riflettori del mondo su questo museo. Lo scorso luglio si sono festeggiati i 90 anni dalla nascita del MAUTO con una “mille miglia delle idee”, durante la quale sono intervenute figure di rilievo della filosofia, della musicologia, dell’arte, che hanno presentato chiavi di lettura alternative del settore automobilistico. Nei prossimi mesi il Museo sarà impegnato con due nuove mostre, una sul futuro dell’auto nella transizione ecologica, l’altra sul mito della F1, raccontato considerandone il lato umano, attraverso grafiche, fotografie, bibliografie, che metteranno l’emozione al centro di un’esperienza immersiva. Una prospettiva umana che è anche il fulcro del progetto espositivo del Museo Nicolis dell’Auto, della Tecnica, della Meccanica, che racchiude la vita del fondatore, dell’uomo nato povero negli anni ’30 e che ha attraversato la rinascita nel dopo guerra. L’incredibile tesoro raccolto nel tempo da Luciano Nicolis comprende la “Motrice Pia”, il primo motore a benzina brevettato dal veronese Enrico Bernardi nel 1882, la Isotta Fraschini del 1929 (comparsa nel film Viale del Tramonto), la Lancia Astura 1000 Miglia, unica al mondo, costruita appositamente per Luigi Villoresi, e centinaia di moto, biciclette, strumenti musicali e fotografici, macchine per scrivere e oggetti inediti che tramandano la storia dell’uomo e della società degli ultimi due secoli. Il Museo definito “d’impresa”, perché parte integrante dell’azienda di famiglia, rappresenta un unicum nel suo genere. Luciano diede vita al movimento delle Auto Storiche d’Italia, quando ancora erano considerate “macchine vecchie”, e ciò che amava ripetere era: “Noi non siamo i proprietari di tutto questo, ne siamo i custodi per il futuro”. Oggi, Silvia Nicolis, Presidente del Museo, che definisce pop, assume una gestione dinamica e proattiva, che accoglie ogni visitatore accompagnandolo in un viaggio nel tempo in cui ogni oggetto in mostra è affiancato da aneddoti che lo legano al cinema, alla musica, all’arte, con l’obiettivo di creare emozioni. Cercare oggetti, classificarli, assemblarli, attiva una serie di processi mentali, quali l’indagine, la formulazione di un’ipotesi sui percorsi da seguire per trovare ciò che si vuole, la valutazione e la scelta. La conseguenza di questo lavoro è l’ottimizzazione delle proprie capacità di giudizio e decisione. Forse non è un caso che il collezionismo accomuni imprenditori visionari come Lamborghini, Stanguellini, Nicolis e Pagani, quest’ultimo con l’abitudine di conservare tutto, sin dalle origini del suo sogno di “venire a Modena per disegnare e costruire le mie auto”. Il Museo Horacio Pagani è il solo intitolato ad una persona vivente e nel quale ci si possa imbattere proprio nel designer geniale che ci ha regalato auto iconiche come la Zonda Cinque, Zonda R e Huayra, esemplari unici esposti insieme ad alcuni bozzetti. Sortiti dai magazzini di famiglia, vengono svelati reperti di quando Horacio era bambino, come quaderni e scatole di colla utilizzate per assemblare i primi modellini, cimeli della sua infanzia. L’esemplare in mostra più caro al proprietario è il modellino di supercar chiamato Mara dalla crasi dei nomi del padre e della madre (Mario e Martha), realizzato nell’infanzia con un tappo metallico del Nesquik, grande circa 12-15 cm, con strisce verticali blu, rosso e grigio, da cui è nata la Pagani Zonda R Barchetta. Pioniere dei materiali compositi, nel Museo ci regala l’opportunità di vedere lo scarpone realizzato per Alberto Tomba e la scocca dell’Aprilia del ‘95/’96 che vinse il mondiale. Genialità, passione e determinazione sono gli ingredienti giusti per creare un costruttore di sogni, come fu anche Enzo Ferrari. Se è vero che “la passione non la puoi descrivere, la puoi solo vivere”, i Musei Ferrari sono il luogo giusto in cui viverla, l’uno dove nacque la leggenda, la sua casa natia a Modena, l’altro dove nacque il sogno, a Maranello. L’amore per il marchio che caratterizza la grande maggioranza di chi vi entra è stupefacente. Tante persone portano con sé lettere per i piloti o per il direttore. Capita così, ad esempio, che si venga a sapere di un anziano tifoso di nome Bruno, mancato da poco, che ha trasmesso la grande passione per la Ferrari alla figlia, accolta a braccia aperte e commozione spalancata direttamente dal responsabile del Museo. Con il 70% delle auto esposte provenienti da collezioni private, l’offerta si amplia in maniera trasversale indirizzandosi ad un pubblico internazionale e variegato, attraverso esperienze come i simulatori, la foto opportunity, il pit-stop e i campus: “red”, a Maranello, per le scuole superiori, su motore, aerodinamicità, team building; “yellow”, a Modena, per le scuole medie, con visite guidate e attività laboratoriali. E’ in corso, fino a febbraio ‘24, l’esposizione “Game Changers”, un viaggio nell’innovazione che conduce alla Purosangue, e da fine novembre sarà allestita una mostra fotografica sulla storia del racing italiano, come ciliegina sulla torta di un anno eccezionale, che ha portato per la prima volta oltre 100.000 visitatori, con un agosto da record, che ha registrato anche più di 3.700 presenze in singole giornate, segno che la cultura e la storia del made in Italy rimangono al centro dell’attenzione mondiale.