Ogni tanto la sua foto torna sui giornali. Ogni occasione è buona. Può essere il ritrovamento di 17 esemplari in un’officina in Florida, oppure di una nuova versione elettrica, insomma ogni scusa è buona per parlare della “DeLorean”, per tutti l’auto di “Ritorno al futuro”. Diciassette macchine chiuse in un capannone in Florida, stipate lì due anni fa per proteggerle dall’uragano Dorian. È stato uno degli ultimi ritrovamenti, buono per riparlare della leggendaria macchina immortalata nel film di Robert Zemeckis e che quest’anno compie quarant’anni. Fu il 21 gennaio 1981 infatti che la prima DeLorean uscì dallo stabilimento di Dunmurry, Irlanda. Ne furono prodotte circa novemila prima che l’azienda andasse in bancarotta l’anno successivo. Era disegnata da Giorgetto Giugiaro, con un motore europeo, messo insieme da Peugeot, Renault e Volvo, un motorone V6 da 2,85 litri che produceva soltanto 132 cavalli posto dietro, come nelle Porsche. Ruote piccole, portiere ad ali di gabbiano, carrozzeria in acciaio inox che col caldo la rendeva utile per grigliarci sopra degli hamburger, la DMC 12 (DeLorean Motor Company era la sigla e 12 mila doveva essere il prezzo di vendita in dollari), questa l’idea del suo visionario inventore. Una specie di Elon Musk d’epoca.
All’epoca fu come una piccola Tesla. L’idea di John DeLorean era quella di costruire una auto “etica”, che oggi chiameremmo green: dunque un’auto indistruttibile in grado di durare per mezzo milione di chilometri. Venne prodotta in Irlanda perché lo scaltro inventore ottenne un sacco di soldi pubblici (come oggi Musk). Dopo soli tredici mesi le prime DMC erano per strada, piene di difetti come le prime Tesla, ma fascinosissime uguali.
John Zachary DeLorean nacque nel 1925, figlio di immigrati operai della Ford. La madre lo portava in California quando le liti col marito erano troppo dure. Lui riuscì a studiare ingegneria, e in poco tempo divenne un enfant prodige del mondo automobilistico; prima alla Packard e poi alla General Motors, dove si occupò del marchio Pontiac (quello di un’altra macchina iconica dello schermo, la Kitt di Supercar); trasformò il decotto brand in epitome della sportività. Nel 1969 divenne il più giovane dirigente della Chevrolet e infine nel ’72 capo di General Motors in America. Nel frattempo, lui cambiava: divorzia dalla prima moglie, e comincia a passare sempre più tempo a Los Angeles, dove liberatosi del doppiopetto impiegatizio, comincia a diventare una specie di rockstar, uscendo con dive del cinema come Ursula Andress. Si risposa con un’attrice, ridivorzia. Si risposa con una supermodel. Si trasferisce a New York. Nel ’73 si licenzia da General Motors dopo che un suo discorso all’assemblea degli azionisti viene lasciato filtrare alla stampa: dice che è tempo di costruire auto più piccole e più ecologiche e meno assetate di benzina, tre cose che non piacciono per niente all’azienda. Ma lui ha capito i tempi, crisi petrolifere in arrivo, e ci crede sul serio, e fonda la sua azienda, la DeLorean Motor Company, appunto. Mette insieme un po’ di ex colleghi di GM e la fa disegnare a Giugiaro: pare che il designer piemontese utilizzi un disegno che aveva proposto alla Porsche. Comunque nelle intenzioni del fondatore dev’essere la più leggera delle auto sportive, e le fabbriche saranno prive di spruzzatori di vernice e di forni, per evitare che dopo vent’anni gli operai si ritrovino col cancro alla gola (di nuovo, l’inox). Praticamente mette all’asta il sito: Detroit, Portorico, Spagna, Canada. Avrebbe già firmato per produrla in America ma poi lo fa in Irlanda grazie a 80 milioni di incentivi pubblici, che si aggiungono a più finanziatori vip come Johnny Carson e Sammy Davis Jr. Ma le prime auto uscite dalla catena di montaggio si rivelano belle sì, ma pesanti, per niente economiche nei consumi, e così così nella guida. I costi poi si moltiplicano, ci vorrebbero altri soldi inglesi ma nel frattempo è arrivata al governo la Thatcher che non ne vuole sapere. DeLorean è una star, però: secondo Forbes, quando visita la fabbrica è come se fosse una rockstar (di nuovo, come Elon Musk). Il finale è tragico come speriamo non sarà quello di Musk: viene arrestato per aver tentato di vendere, questa è l’accusa, un colossale quantitativo di cocaina, pari a 24 milioni di dollari di valore, per salvare l’azienda. Operai sconvolti, catena di montaggio chiusa, poi lui verrà scagionato da tutte le accuse, ma ormai è troppo tardi. Lui va in rovina, deve vendere tutto, anche la tenuta che possedeva del New Jersey (che verrà comprata poi da Donald Trump che ci farà un campo da golf). DeLorean è morto nel 2005, a ottant’anni, nel bilocale che gli era rimasto, con accanto la sua quarta moglie, Sally.
La sua creatura, la DeLorean, rimarrà in quella speciale categoria di cimeli dei sogni infranti. Nel 2007 una società chiamata DeLorean Motor Company (ma solo omonima) ha comprato i diritti per continuare la produzione, ma non se ne è saputo più nulla. Nel frattempo oggi la compagnia commercializza orologi e ogni tipo di gadget.
Qualche giorno fa però una DeLorean elettrica, questa sì veramente “green”, ha fatto la sua comparsa al salone dell’auto di Monaco. Ma si tratta sempre della “vecchia” DeLorean, aggiornata dalla tedesca eCap, che ha semplicemente sostituito il motorone termico con uno elettrico. L’autonomia è di circa duecento chilometri. C’è anche un prototipo a idrogeno: che sarebbe sicuramente piaciuto al vecchio, immaginifico DeLorean.