Da Torino (o dal Monviso) al Delta senza scendere dalla bici con le parole di Soldati e Brera a farvi compagnia.
Passati finalmente i caldoni estivi, non ci sarà modo migliore per riconciliarsi con lo sport che inforcare la bici per qualche bella passeggiata cullati dalle prime frescure che anticipano l’autunno. Le destinazioni in Italia non mancano. Dalla montagna al mare, senza dimenticare la pianura, che è forse il marchio di fabbrica del nostro Paese, assieme certamente all’Appennino. E l’Italia lontana dai luoghi comuni, dai centri metropolitani, dalle rotte del turismo di massa, dalle città d’arte e dalla Riviera. L’Italia del Bar Sport eternato da Stefano Benni, del Mondo Piccolo di Guareschi, della provincia cantata da Paolo Conte. Universi ricchissimi e tutti da riscoprire. Per esempio, appunto, in sella, come si può fare nell’itinerario principe di questo viaggio nel territorio che è un po’ un viaggio nella nostra storia e dunque in noi: la Ciclovia del Po. Da Torino al Delta (ma i più ardimentosi possono partire dal Monviso), oltre 600 chilometri interamente pedalabili, attraverso Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto. È parte di EuroVelo 8, la ciclabile del Mediterraneo lunga 7.600 chilometri che va da Cadice ad Atene traversando 12 Paesi senza scendere dalla bici. Il Po è stato sempre magnifica fonte di vita e di ispirazione. Mario Soldati vi ha ambientato il suo storico Viaggio per la Rai, in una delle prime inchieste della giovane televisione nazionale, che ha avuto il merito di anticipare di trent’anni SlowFood nella riscoperta dei cibi e del vino genuini e di lasciare la testimonianza di un territorio non ancora sconvolto dal boom industriale. Ma il vero vate del Po, il suo cantore, è Gianni Brera, il più influente giornalista sportivo italiano di sempre, che amava il grande fiume quanto la bicicletta. Quest’ultima la definiva “una ragion d’essere”, e di se stesso diceva di essere “figlio legittimo del Po”, proprio come se il fiume fosse un genitore, o meglio una nutrice. Infatti per Brera il Po era la grande madre. Il segreto di tanto amore, e di tanto fascino, è facile da rintracciare. Prendete la bici, che sia da città, da corsa, una gravel, una mountain bike, muscolare oppure elettrica, e addentratevi nella Bassa, immergetevi nel paesaggio che sta intorno all’acqua immobile del fiume e alle sue rive: troverete le tracce di quel mondo antico che eravamo noi, forse non solo padani. Una delle porte di accesso è proprio il paese natio di Brera, San Zenone al Po, venti chilometri a sud-est di Pavia, 60 da Milano. Intorno c’è tutto il microcosmo del Po. Ci sono gli argini nati per contenere le piene, sui quali si può pedalare in sicurezza; ci sono, sugli edifici, i segni delle piene più famose, il livello raggiunto dall’acqua, lasciato come testimonianza, ma non come una cicatrice, piuttosto come un tatuaggio, qualcosa di cui andare anche un po’ fieri per esserne sopravvissuti; c’è il tempo immobile della pianura, che sembra non passare mai e non conosce la frenesia della città, un eterno presente fatto di piccole abitudini; ci sono i barconi da fiume trasformati in punti di ristoro, i porti o i resti dei porti che una volta erano pulsanti di traffici, i campanili a segnare le distanze tra i paesi, i volti degli ultimi vecchi con il volto da vecchi e quelle rughe che sono solchi nella carne, le trattorie dove gustare cibi sconosciuti al resto del mondo come il ragot di cui era ghiotto Brera, una cassoeula con la carne d’oca al posto delle parti del maiale, da accompagnare al Barbacarlo, un vino che fanno solo qui e cioè sulle colline di Broni (e siamo già in Oltrepo, appena attraversato il fiume, sull’altra riva), meglio se uscito dalla cantina di Lino Maga, fraterno sodale di “Gioannfucarlo”. E per chiudere la gita, se non volete arrivare fino in Adriatico e vi limitate a una scampagnata domenicale, prendetevi un gelato al Bar Sport di San Zenone, proprio accanto a dove nacque oltre un secolo fa il Nostro. O, ancora meglio, un ghiacciolo, come si faceva una volta.