All’inizio arrivarono solo i veicoli commerciali. Poi l’esplosione del lusso. Non si importarono solo automobili, ma un modello organizzativo. Oggi la Casa di Stoccarda punta all’elettrificazione e al mondo luxury.
Era un mercoledì. 18 aprile 1973 per la precisione. In Etiopia nasceva Haile Gebrselassie, mentre qualche mese più tardi se ne sarebbe andato Abebe Bikila. Storie così vicine eppur così lontane di maratoneti e garanti di una buona prestazione sulle lunghe distanze. Da noi il Presidente della Repubblica era Giovanni Leone, in Usa Richard Nixon. A guidare il Governo c’era, per definizione, Giulio Andreotti e in quei giorni, precisamente il 3 aprile, un signore chiamato Martin Cooper, ingegnere della Bell, era sceso in strada e, utilizzando per la prima volta un telefono portatile, che avremmo poi chiamato cellulare, aveva telefonato al suo omologo della Motorola canzonandolo per il fatto che lo stava contattando mentre faceva due passi per strada. In tutto questo fervore per la tecnologia che ci avrebbe definitivamente cambiato la vita in via degli Abruzzi al numero 3 di Roma Mercedes-Benz inaugurava la sua prima filiale ufficiale in Italia. Il nome fu consequenziale: Mercedes-Benz Italia. I tempi erano maturi, il cambiamento del mercato dell’automobile imponeva scelte che cavalcassero l’onda dell’innovazione e in generale si respirava in tutti i settori un grande desiderio di modernità. Ed il colosso di Stoccarda non poteva sottrarsi all’irresistibile richiamo del mercato italiano. Chi ha più di 50 anni, come chi scrive, non può non ricordare le prime Mercedes transitare nella zona del lago di Garda. Autentici “macchinoni”, incutevano un po’ di timore esattamente come la stazza della maggior parte di che le guidava. Si raccontava che “i tedeschi quando vengono in Italia guidano molto aggressivi perché da loro certe cose la Polizei non te le lascia fare”. Non del tutto vero, in realtà, ma a noi piaceva raccontarcela così mentre le osservavamo esondare dalle strisce di parcheggio con le loro cinture di sicurezza già abbondantemente di serie. Molti nell’abitacolo le utilizzavano già, quando invece le nostre auto nemmeno le avevano in dotazione. Mercedes-Benz Italia ha compiuto 50 e queste nozze d’oro appartengono ad uno dei tanti successi che la casa automobilistica con la Stella ha mietuto in ogni angolo del mondo. Il primo scambio di anelli con il mercato italiano, è giusto ricordarlo, avvenne esclusivamente per la vendita di veicoli commerciali ed industriali. Il passo verso la commercializzazione di autovetture sarebbe arrivato in seguito. Mantenendo però sempre alcuni dei marchi distintivi caratteristici di Mercedes. Acquistare una vettura con la Stella era e doveva rimanere un privilegio non per tutti. Il trattamento, oggi lo chiameremmo “experience” era come oggi di lusso. I prezzi dovevano rimanere elevati e non si doveva cedere alla tentazione dello “sconto”, forse sapendo che in Italia è prassi chiederlo anche per beni di minore costo. Di portare in permuta una vettura diversa da una Mercedes nemmeno se ne poteva parlare. Chi allora comprava Mercedes e voleva dare indietro l’usato doveva presentarsi con un’altra Mercedes. Altrimenti quella era la porta. In uscita. La prima filiale nel Bel Paese fu un sodalizio formato al 75% dalla Casa Madre e al 25% da Autostar, importatore di vetture dal 1959 e artefice della rete commerciale in Italia. Sul Garda, ma ovviamente non solo, si iniziarono dunque a vedere queste auto così imponenti e lussuose non più con la classica “D” accanto alla targa. Mercedes in Italia portò non soltanto i suoi gioielli su strada, ma un vero e proprio modello di organizzazione, di gestione dei processi e della rete di assistenza. Cinque anni dopo lo sbarco in via degli Abruzzi ecco un altro passaggio fondamentale. Hans Breithaupt, il primo amministratore delegato di MB-Italia, volle portare anche da noi l’esperienza di Merfina, la finanziaria captive ufficiale della casa teutonica. Herr Hans era talmente convinto della bontà della sua idea che di fronte a qualche richiesta di precisazione da parte dell’allora Presidente Piero Boccanelli (avrebbe rivestito questa carica dal 1973 al 1981) si disse pronto a dare le dimissioni se in un solo anno non fossero arrivati i risultati che lui aveva immaginato. Delle dimissioni di Breithaupt non si parlò nemmeno a livello di battuta perché i risultati furono subito straordinari. Al punto che negli anni ’80 i volumi nel nostro Paese magicamente triplicarono rispetto al decennio precedente. Non poteva non esserci un tocco di sana e creativa italianità in tutta questa crescita. Perché il contributo di Bruno Sacco, capo designer di Mercedes-Benz dal 1975, è stato decisivo attraverso la concretizzazione di una filosofia che la matita del progettista nato a Udine ha delineato con linee definite con omogeneità orizzontale e affinità verticale. Soprattutto con quest’ultima caratteristica Sacco tese a modernizzare modelli di generazione in generazione senza sminuire i valori estetici del modello precedente. Generando di fatto in ogni modello qualcosa di unico e senza tempo. Una scelta che seppe resistere anche a qualche nota di disappunto quando fu creata, ad esempio, la mitologia “190”. Era il 1982, anno del Mondiale di calcio vinto da Bearzot proprio contro i tedeschi a Madrid. La 190 non incontrò subito i favori della critica perché generava timore che le sue linee diluissero l’esclusività del marchio. Che fosse poi anche alla portata non solo di tasche particolarmente profonde armava i detrattori che si sentivano defraudati di un blasone sino a quel punto esclusivo e inattaccabile. Timori infondati, per un modello che tanti italiani hanno deciso di acquistare consapevoli del fatto di essere alla guida di un gioiello della corona e non di una versione minore di un brand di successo. Le nozze d’oro alle spalle impongono di pensare ai prossimi traguardi. Le grandi sfide della mobilità vedono Mercedes-Benz in prima linea nell’interpretare correttamente la transizione energetica. Prova ne sia la decisa virata verso l’elettrificazione, il riposizionamento del marchio nel mondo luxury e la riorganizzazione della rete commerciale. Lo sosteneva, da antesignano, lo stesso Carlo Benz. Ovvero che: “la passione dell’uomo per l’invenzione non muore mai”. Un modo di pensare che, da 50 anni in Italia ma da molti di più nel mondo, Mercedes-Benz porta avanti su una strada verso un futuro profittevole, full electric e software driven.