Si sa. La mente umana tende a dimenticare. A mettere da parte le cose più spiacevoli. Ecco allora che gli automobilisti si ricordano del bollo auto-moto solo quando va pagato e a volte neppure in quel caso.
Ma quali sono le origini dell’odiato balzello? La tassa di circolazione, così denominata sino a qualche tempo fa, è stata “pensata” il 9 febbraio del 1952 all’interno di un progetto che prevedeva entro dodici mesi la raccolta da parte del governo di un testo unico contenente tutte le disposizioni vigenti in materia di tasse automobilistiche. Ecco allora che l’anno seguente con il decreto del presidente della Repubblica del 5 febbraio 1953 n° 39 venne approvato ufficialmente il bollo. Un tributo obbligatorio per autoveicoli e motoveicoli fortemente voluto dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi e dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il superbollo arriva poi nel 1976. Si tratta di una sovrattassa per le auto più potenti, abolita e reintrodotta più volte. Nel 1982 una novità importante: la tassa di circolazione è diventata a tutti gli effetti tassa di possesso. Ecco così che da quell’anno in poi, anche se le auto erano ferme in garage, la tassa andava corrisposta ugualmente. Dal 1° gennaio 1999 le competenze e la riscossione passano in mano alle Regioni e alimentano così buona parte delle loro casse. Un punto fermo che tiene duro ancora oggi: “tributo locale che grava sugli autoveicoli e motoveicoli immatricolati nella Repubblica Italiana, il cui versamento è a favore delle Regioni d’Italia di residenza”. Gli anni passano e il bollo si “aggiusta” a seconda dei Governi. Nel 2011 con Berlusconi il superbollo è di 10 euro/kW per ogni kW sopra i 225. Ad inasprirlo ci pensa poi il successivo governo Monti con il decreto “Salva Italia”: 20 euro ogni kW al di sopra dei 185. Ovvero sopra i 251,6 cavalli. I tecnici avevano previsto un introito di 170 milioni di euro. Era il 6 dicembre del 2011. Nel 2013 le principali associazioni della filiera automobilistica scrissero al Ministero dell’Economia e delle Finanze una lettera congiunta. ANFIA (produttori italiani), ANIASA (autonoleggio), Assilea (leasing), Federauto (concessionari), UNASCA (agenzie), UNRAE (costruttori esteri) chiedevano a gran voce di “abolire la dannosa e controproducente sovrattassa sul bollo auto”. Altroché 170 milioni di gettito ulteriore, secondo le associazioni nel solo 2012 lo stato aveva perso a causa del superbollo ben 140 milioni di euro tra minori entrate fiscali e mancato introito come conseguenza della fuga dei clienti di alto livello. In un battito di ciglia venne quasi distrutto il mercato delle automobili più potenti, tra questi gioielli che hanno reso l’Italia famosa nel mondo. Una perdita di gettito Iva e Ipt simile a un’emorragia che non è mai stata esattamente calcolata. Pare che in due anni il circolante Ferrari sia calato del 40 per cento. Dovevano essere colpite solo le auto di lusso, invece è stato colpito un intero comparto. Assieme a migliaia di appassionati che avevano realizzato il loro sogno comprando quattroruote magari vecchie, ma ancora affascinanti e potenti. Insomma sono state penalizzate tutte le auto sino a vent’anni di età con più di 250 cavalli. A parziale compensazione dell’ignorante balzello, va detto che è prevista la riduzione dello stesso dopo 5, 10 e 15 anni dalla data di fabbricazione del veicolo. Rispettivamente al 60 per cento, al 30 e al 15 per cento per poi non essere più dovuto una volta che la vettura abbia compiuto 20 anni dalla costruzione. Evviva le storiche!
Negli anni si sono susseguite molte proposte di abolizione del superbollo ma nessuno dei vari governi che si sono succeduti ha mai preso davvero in seria considerazione l’ipotesi di modificare la disciplina che lo regolamenta. Abolire il superbollo non significherebbe togliere quella che viene percepita come una tassa per ricchi, ma recuperare gettito e posti di lavoro a vantaggio di tutti. Attenzione però, il superbollo alla fine è poca roba e per questo nessuno se ne occupa. Discorso diverso è il bollo. Tassa intoccabile considerando che, nonostante una leggera flessione nel 2020 dovuta alle norme di sostegno introdotte da alcune amministrazioni, ha portato nelle casse delle Regioni circa 5.7 miliardi di euro.